Quando fu nominato tre anni fa, scelto dal governatore di centrosinistra Paolo Frattura, qualcuno alla conferenza stampa di presentazione lo chiese apertamente: non c’era un molisano in grado di ricoprire l’incarico di manager dell’Asrem? Quanto alle ricostruzioni fatte dietro le quinte, l’ingegnere calabrese Gennaro Sosto è stato dipinto come segnalato, suggerito. «Raccomandato da qualche politico», sintetizza in questa intervista. Non è stato l’ultimo a sapere, insomma, cosa si dicesse di lui. Una fama che non sente di meritare e da cui si è riscattato con un rapporto oggi diverso sia con l’azienda che guida sia in gran parte con il Molise fuori dall’Asrem.
Confermato dal presidente di centrodestra Donato Toma, ha ben più preoccupanti grattacapi che le voci sull’origine del suo incarico. Nato, si scopre, da un incontro casuale con l’ex dg Marinella D’Innocenzo. I grattacapi? Come tenere aperti reparti in cui non ci sono medici a garantire tutti i turni, per esempio. Ma ha pure un obiettivo che non perde di vista.
La giunta Toma le assegnerà gli obiettivi. Ma quali i suoi obiettivi, le cose che lei sente di dover realizzare nel secondo tempo del suo mandato?
«Bella domanda. Innanzitutto mi consenta di ringraziare la giunta ed in particolare il presidente Toma per la fiducia, cosa non scontata nell’odierno modus operandi politico e che denota la volontà di dar peso alla sostanza, non perseguendo l’ossessivo leitmotiv del cambiamento ad ogni costo.
Dopo un primo tempo teso a riorganizzare, a risistemare i conti – non che siano definitivamente a posto ma in linea generale il sistema è sostanzialmente in equilibrio – il mio obiettivo è dare un risvolto tangibile alla qualità delle cure. Far percepire alle persone che il servizio sanitario del Molise esiste e che se ancora non è ottimale, ha livelli di performance almeno dignitosi. Abbiamo le professionalità in grado di poter dare qualità. Dobbiamo innestare risorse nuove, questa è una cosa fondamentale. C’è bisogno di stimoli e i giovani possono dare manforte al miglioramento del sistema. Qui però abbiamo un problema serio».
Non trovate medici, né giovani né meno giovani. Avete provato a richiamare in servizio i pensionati…
«Assunzioni a tempo determinato, concorsi, contratti libero professionali, acquisizione di ore di servizio con la previsione di utilizzare i medici pensionati. Stiamo provando di tutto pur di garantire i servizi. Ma utilizzare un medico anziano che è andato in pensione o una società esterna a copertura di un servizio è sempre una formula tampone. Si può utilizzare nell’attesa della soluzione strutturale».
E qual è la soluzione strutturale?
«L’unica che io vedo è utilizzare al meglio l’Università del Molise per ‘creare in casa’ gli specializzandi, farli crescere all’Unimol o nelle università che collaborano con Unimol e dove sono attive specializzazioni per Pronto soccorso, Pediatria, Anestesia, Ortopedia. In queste branche abbiamo carenze devastanti a causa di una programmazione del fabbisogno formativo che è stata superficiale nell’ultimo decennio. Il Molise ha avuto il blocco del turnover mentre gli altri assumevano, per cui le dimensioni del fenomeno sono amplificate. Se negli ultimi dieci anni non si sono fatti concorsi, oggi che li possiamo fare non ci sono medici che rispondono. Per Ortopedia ne abbiamo banditi tre nell’ultimo anno e non siamo riusciti a prendere nessuno. Stessa difficoltà per i medici di Pronto soccorso: 13 posti banditi, abbiamo assunto una sola persona. Abbiamo cercato di compensare con gli incarichi libero professionali estesi ai pensionati. E capisco da solo che non è opportuno riportare a lavorare in Pronto soccorso persone di 70 anni, che non è quello il futuro».
Pure sui pensionati Roma le ha detto di no.
«E abbiamo avviato le procedure di esternalizzazione, abbiamo chiesto ai commissari la possibilità di metterle in atto. Non sappiamo se ci verrà data questa opportunità. Ma ribalto la domanda all’utenza: se provo in tutti i modi a trovare medici e non li reperisco, l’alternativa qual è?».
Sta parlando di chiudere i reparti?
«Guardi, utilizzare cinque persone dove ce ne vorrebbero dieci significa chiudere per consunzione. I nostri operatori cominciano ad essere in difficoltà. Fanno più ore delle 38 istituzionali. Parlo delle attività aggiuntive che all’inizio possono essere corroboranti ma poi non ci si può permettere una pizza con la famiglia perché si è troppo spesso reperibili. Questo stato di cose non fa l’interesse dei pazienti, così si corre il rischio di non garantire la tutela della salute. Allora sono io che chiedo a tutti gli attori del sistema di guardarci negli occhi e ragionare».
Gli utenti sono quelli che le pagano lo stipendio. Non credo debba chiedere a loro.
«È vero, i molisani mi pagano lo stipendio e per questo mi sento in dovere di dire loro la verità. Potrei disimpegnarmi così: ho provato, non me l’hanno fatto fare… Invece ai molisani rappresento la situazione e chiedo una presa di coscienza, di sedersi con le istituzioni in un momento di grande difficoltà, dopo che abbiamo provato a fare tutto ciò che potevamo fare, e discutere quali possano essere le soluzioni: una ulteriore riorganizzazione, teniamo in piedi quello che possiamo governare? Un servizio raffazzonato?».
Il sindaco di Agnone ha scritto al Presidente Mattarella, nella zona pensano a forme di protesta eclatanti. Se questa è la sua risposta, la attendono tempi durissimi.
«Una delle cose per cui mi sono speso di più pubblicamente è il mantenimento del Pronto soccorso al Caracciolo che è presidio di area disagiata. Ma se non riesco a dotare la struttura di medici e la tengo aperta diventa un tradimento del mio mandato. Allora dico a tutti: basta polemiche. Non servono a nulla se non a disperdere le energie che abbiamo e che credo dovremmo usare per risolvere i problemi. Accetto consigli, suggerimenti, indicazioni da qualunque forza sana che voglia insieme a noi cercare di tenere in vita il sistema garantendo i servizi. Nelle more che l’Università ci aiuti a creare specializzandi, che qualcuno si decida a darci l’autorizzazione per utilizzare altre forme di assunzione di medici – pensionati o servizio esternalizzato – cosa facciamo?».
Andiamo oltre. Qual è il modello ottimale di gestione della sanità per il Molise?
«La chance su cui puntare decisamente è la territorialità. Con la procedura per la nuova assistenza domiciliare abbiamo previsto di chiedere ad un provider di servizi anche prestazioni mediche. Le faccio un esempio. Curiamo al domicilio un malato di Bpco, la terapia però va valutata e il problema che lui incontrerà è la visita dal pneumologo. Ne abbiamo uno solo all’interno della regione Molise. A questo punto l’assistenza domiciliare non porta vantaggio. Con la gara in corso di definizione alla centrale di committenza ci verrà fornito da terzi un servizio più completo. Stiamo poi cercando di acquisire altre risorse per governare le liste di attesa, parlo dei sumaisti. Il nuovo piano, inoltre, consente di inviare un utente a una struttura convenzionata se le nostre non rispettano i tempi. Questo non vuol dire abdicare però…».
Nella gestione complessiva delle emergenze – cardiochirurgia e neurochirurgia – il pubblico non ha abdicato?
«In una regione, l’unica in Italia, in cui la trombolisi non era stata mai attivata prima di dicembre scorso è paradossale che si pensi che il pubblico sta abdicando. L’hub, sede naturale per la trombolisi, è Campobasso. Ma mentre ristrutturiamo l’area individuata al Cardarelli, abbiamo avuto il coraggio, la volontà – grazie alla disponibilità degli operatori – di attivarla a Isernia, dove era prevista transitoriamente anche dal piano operativo. Fino ad oggi oltre 20 persone sono state trattate a Isernia. Stiamo parlando di un trattamento dell’ictus, ossia di una patologia tempo dipendente. Nel frattempo il presidente della Regione Toma ci ha messo a disposizione le risorse che avevamo chiesto, la gara per realizzare la Stroke a Campobasso è in corso di affidamento. Nelle more, perché no, si possono utilizzare metodiche innovative per effettuare la trombolisi in altri ospedali del Molise. In molte parti d’Italia si può fare in Pronto soccorso e poi si centralizza il paziente nella Stroke unit. Vuol dire aver provato a salvare una vita. Quando concentreremo su Campobasso, Termoli e Isernia faranno da primo livello con l’aiuto dei Pronto soccorso che hanno già avviato un processo di potenziamento delle abilità attraverso percorsi formativi per l’utilizzo di tecnologie digitali di ultima generazione, applicate già negli Usa e altrove in Italia. Noi potremo essere i primi del centrosud».
Si dia un voto. Onesto.
«Sette. È un voto sul risultato. Dalla promozione sui Lea all’attivazione dei concorsi, dalla definizione dei contenziosi con gli erogatori privati alla regolamentazione organizzativa con l’atto aziendale. Se mi ricordo tutte le cose fatte tendo ad aumentarlo. Facciamo sette e mezzo…».
Pensava di restare quando tre anni fa è stato nominato?
«Sono convinto che per ottenere risultati in sanità, soprattutto in una regione del sud in piano di rientro, ci sia bisogno di almeno cinque anni. Questo non vuol dire che volessi restare… L’accoglienza iniziale non è stata il massimo. Ma è comprensibile. Arrivi in un posto in cui sei il più giovane fra chi lavora in sanità ed è molisano: pensano che tu sia il solito ragazzo raccomandato da qualche politico e che è venuto qui a fare esperienza. Questa è la percezione che mi ha fatto più male».
Lei non è stato mandato qui da qualche politico?
«Nessuno mi ha mandato. Ho conosciuto casualmente nel corso di un master alla Luiss l’allora direttore generale della Salute del Molise. Inizialmente mi ha chiesto collaborazione per il nuovo piano ‘ex articolo 20’ (investimenti in sanità, ndr). Forse nessuno lo sa o lo ricorda, ho avuto un incarico per questa cosa. Poi l’allora dg dell’Asrem andò via e mi si domandò se mi sarebbe piaciuto accettare una sfida: prendermi l’onere di rivoluzionare il sistema, realizzare una riorganizzazione che era in corso d’approvazione. Penso che, con l’aiuto di tutti i miei collaboratori, ci siamo in parte riusciti. Ho sempre investito sulla mia professionalità, per questo mi fa male essere passato per un raccomandato. Devo dire però che la soddisfazione più grande è il rapporto che c’è adesso con il personale. La gratificazione maggiore è sentirti dire dalle persone con cui collabori quotidianamente: non vada via direttore, stiamo facendo un buon lavoro».
rita iacobucci

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