Mette in fila i fatti: nel 2018 la sanità del Molise è tornata in deficit, fra Regione e struttura commissariale è in atto uno scontro senza precedenti che riguarda anche il trasferimento di fondi della fiscalità, il punto nascita di Termoli è stato chiuso.
Paolo Frattura, predecessore di Donato Toma e Angelo Giustini perché presidente e commissario della sanità nella passata legislatura, rivendica i suoi risultati, li chiama a un confronto pubblico e ne ha per tutti: «Serve un’operazione verità. Struttura commissariale attuale, Regione e io. Loro portino tutti i tecnici che vogliono, io andrò da solo. Confrontiamoci e verrà fuori come stanno le cose».
Amareggiato, pur se molto determinato. Come se sentisse vanificati, in un anno, sforzi e risultati. Perfino l’aver preso schiaffi a destra e a manca per il piano operativo. Sicuramente non gli sfugge che additando la responsabilità di manager e dirigenti attuali della sanità chiama in causa persone che ha scelto lui e che Toma ha confermato. Fuori dall’agone politico, però, dice quello che pensa più o meno senza filtri. Anche perché il richiamo agli anni passati come causa delle emergenze di oggi – un richiamo che spesso anche l’attuale commissario fa pubblicamente – tira in ballo Iorio ma forse in maniera più immediata lui.
La nota del ministro Grillo che spiega la chiusura del punto nascita di Termoli con il fatto che non rispetta i parametri di sicurezza richiesti dal Comitato nazionale in un passaggio troppo sintetico o politicamente sibillino porta a pensare che la Regione abbia chiesto la deroga solo per Isernia e che di fatto abbia ‘venduto’ il destino di Termoli. Frattura oggi parla di proroga, termine più aderente al fatto che quando Roma indica di chiudere le Regioni chiedono tempo per arrivare allo standard. Al di là del vocabolario, è chiaro che lui può rispondere alla dichiarazione che ha scatenato le polemiche . Perché, deroga o proroga che sia, la chiese lui.
Presidente Frattura, lei ha barattato Isernia con Termoli?
«Niente di tutto ciò. E sono pronto a spiegare come sono andate le cose, lo faccio volentieri anzi. A Isernia e Termoli avevamo lo stesso problema: i punti nascita registravano meno parti di quelli richiesti. Situazione più grave a Isernia, ma tutti e due i punti erano sotto la soglia dei 500. Allora io cerco di capire perché. Analizziamo la situazione insieme alla struttura commissariale e all’azienda sanitaria, riscontriamo mobilità passiva. Da Isernia le donne vanno a partorire a Capua, da Termoli a Vasto e San Giovanni Rotondo. Parliamo di Isernia. A Capua c’è il dottor Saltarelli, ex primario di Castel di Sangro che, andato in pensione quando quell’ospedale ha chiuso, esercita lì. Evidentemente apprezzato dalle future mamme della zona pentra che si fanno assistere da lui e partoriscono nella struttura dove opera. A un avviso per incarichi a tempo determinato bandito dall’Asrem per via della carenza di organico – e qui dovremmo anche approfondire sulle inabilità e i benefici di cui alla 104 che incidono sui turni ma questo è un altro discorso – risponde Saltarelli. Entra in servizio al Veneziale e comincia a recuperare i numeri dei parti. Arriviamo poco sotto i 500 e al Ministero che mi sollecita a chiudere io posso rispondere con l’inversione di tendenza e chiedere una proroga fino al 31 dicembre 2018. I numeri di oggi li conosciamo, evidentemente abbiamo fatto le scelte giuste. A fine 2018 si tiene una conferenza stampa per dire che il punto nascita è salvo, nessuno ha neanche menzionato Frattura. Non voglio fare polemiche. Ma è così».
Lei però aveva anche Termoli sotto la soglia e, al contrario di Isernia, il trend degli ultimi anni è stato in calo.
«Certo, ci arrivo. Dal basso Molise le donne vanno a San Giovanni Rotondo e a Vasto. Sono circa 300 all’anno i parti di bassomolisane fuori dal Molise A Vasto, in particolare c’è il dottore Biondelli, di Termoli. Non è primario nell’ospedale abruzzese. Anche in quel caso pensammo, pensai, che si dovessero e potessero creare delle opportunità. Diedi indicazione di bandire il concorso per primari di Ginecologia, magari così avremmo reclutato uno specialista che avrebbe avuto lo stimolo per risollevare il reparto. Magari avrebbe potuto partecipare lo stesso Biondelli che è molto apprezzato dalle future mamme di quella zona. Perché il decreto con cui disponevo di fare il concorso per i primari non è stato attuato nel 2018 dall’Asrem e perché la Regione non ha controllato l’azienda sanitaria? I dati dell’azienda la Regione li conosce, se verifica che non sta dando seguito agli impegni può intervenire».
Secondo lei la situazione del punto nascita di Termoli era rimediabile solo dando al reparto un primario?
«Lo era. Lo si poteva fare inserendo in organico qualcuno che abbia gli strumenti per governare la situazione e raggiungere lo stesso risultato di Isernia. Se non ci fosse mobilità passiva, allora va bene. Ma i bambini nascono, solo che le mamme li fanno nascere altrove. E allora la responsabilità di questa situazione è della Regione e dell’Asrem».
Le sue dichiarazioni sono piuttosto rare, ma sulla sanità non si sottrae. In Molise è tornato l’aumento delle aliquote.
«Siamo tornati in disavanzo e le tasse sono di nuovo aumentate. Noi abbiamo azzerato un deficit da 80 milioni e pagato debiti ai fornitori per 600 milioni. Perciò nel 2017 le tasse le abbiamo abbassate. E adesso, invece? Per non dire anche delle azioni di efficientamento avviate, della gara bandita per le forniture agli ospedali che starà in qualche cassetto. E della Regione che si fa prestare i soldi dalla sanità ma non li restituisce in tempo, che non trasferisce i soldi della fiscalità. Perché? Lo sblocco del turnover lo abbiamo garantito noi, con un pizzico di presunzione dico che l’ho garantito io. Eppure per portare a termine le procedure di assunzione c’è voluto tantissimo tempo anche per i ricorsi che sono stati avviati. Quando siamo arrivati, i Lea erano a 138, tra i peggiori d’Italia. Li ho lasciati a 167. Numeri che indicano la qualità dei servizi.
È evidente che serve un’operazione verità. Perché anche quando sono arrivato io – presidente e commissario a costo zero, mentre oggi la struttura costa 300mila euro all’anno – i tecnici di Roma avevano lo stesso atteggiamento e gli stessi obiettivi. Se vuoi far sparire una Regione, basta far sparire la sua sanità. Ma mi pare che i risultati siano stati tutt’altro rispetto a oggi».

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