«Volevamo essere supportati e non sopportati. Ci siamo accorti che eravamo sopportati…». Con una battuta l’ex amministratore delegato di Finmolise Paolo Verì sintetizza i motivi per cui, dopo un anno di confronto diventato impasse, insieme agli altri due componenti del Cda ha deciso di dire sì alla richiesta di dimissioni avanzata nei loro confronti dal governatore Donato Toma.
Aprile 2018: nove giorni prima del voto il presidente Frattura designa la nuova governance (il Cda era decaduto in seguito alle dimissioni della presidente Gallo oltre che del sindaco di Pescopennataro Sciulli che era candidato alle regionali): Filomena Iapalucci al vertice, Verì ad e Giovanni Perna consigliere. Il neo presidente Toma contesta da subito quella delibera, si munisce di parere dell’Avvocatura e arriva insieme alla giunta all’annullamento. Gli amministratori vanno al Tar. Un anno dopo, prendendo atto anche di divergenze di opinione sulle strategie, il bonario componimento. Toma precisa, nella conferenza stampa a cui partecipa Verì, che conserva le perplessità sulla delibera di Frattura ma comunque la vicenda è chiusa. La causa verrà chiusa. «Ci lasciamo da buoni professionisti che hanno concordato una linea di azione». Entro fine mese, assicura il presidente, il nuovo Cda che sancirà «una discontinuità più netta». I nomi nell’assemblea dei soci che approverà il bilancio (a cui Toma ha mosso rilievi, superabili, precisa).
Verì spiega così il passo indietro: «Riteniamo che Finmolise possa essere d’aiuto alle imprese e alla Regione». Legittima la richiesta del socio, riconosce e sottolinea che dimettendosi lui e i suoi colleghi ci rimettono il compenso. Traccia il bilancio: 180mila euro di utile (a fronte di un milione di passivo trovato al suo arrivo), 30 milioni di riprogrammare per le imprese e dei 50 investiti in questi anni. «Abbiamo lavorato molto, spesso in silenzio».
Il governatore conferma i numeri, ma rivendica la prerogativa di far girare diversamente la Spa, in linea col suo programma. «In questi anni Finmolise ha agito da banca tradizionale, noi vogliamo trasformarla in merchant bank. Ritengo che Finmolise debba rischiare di più e che almeno parte dei contributi pubblici sia utilizzata come prestito partecipato», aggiunge. Finmolise quindi diventerebbe socio. Serve perciò una governance che condivida questa strategia. La scelta sugli amministratori, fra i professionisti che hanno i requisiti è sempre politica, rileva. Ricorda che Verì è stato anche consigliere di Frattura e che la presidente Iapalucci ha ruoli nel Pd: «Una discontinuità in questo senso va data. A meno che non hai un amministratore che non è stato invischiato nelle dinamiche politiche e gli dai un attestato di tecnico».
All’incontro con la stampa c’è solo Verì. Da Iapalucci e Leva una nota a margine con toni e qualche concetto differente. Per esempio, dicono, da subito il Cda ha avuto «difficoltà di operare al meglio delle nostre capacità e competenze professionali, nell’unico interesse della società e delle imprese molisane, stante la divergenza di vedute con i vertici della Regione Molise sulla necessaria condivisione di una strategia programmatica». Hanno assistito «spesso impotenti» alle dinamiche politiche senza poter lavorare «in qualità di organo tecnico e non politico». Rinunciano «ad altri due anni di indennità, che avremmo potuto comunque continuare a percepire se avessimo portato avanti il ricorso amministrativo da noi avviato».

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