L’accordo possibile è là, sul tabellone di Palazzo Madama. Facile anteprima, quella di Matteo Renzi, che nel pomeriggio ribadisce l’appello alle forze politiche per un governo istituzionale: «Un appello che oggi ha lo spazio per essere accolto: c’è una occasione che viene testimoniata dal voto sul calendario che forse oggi si terrà. Dico forse perché Salvini scopre di essere in minoranza».
Infatti, dopo aver dominato la seduta con un intervento in cui rilancia «facciamo il taglio dei parlamentari e poi il voto», il leader della Lega va sotto. La linea della sfiducia oggi non passa, il premier Conte sarà in Aula a Palazzo Madama il 20 agosto alle 15 per le comunicazioni. M5s e Pd votano insieme.
Tra le file dei pentastellati si fa largo un orientamento non marginale né indifferente. «Non dobbiamo cadere ancora una volta in quel vortice autocelebrativo che ci porta a dire che noi siamo il meglio che gli italiani possano avere – così il deputato molisano Antonio Federico – perché gli altri sono tutti uguali e rappresentano il peggio. Abbiamo sbagliato delle cose in questi 14 mesi, ma abbiamo fatto anche grandi cose: mi basta pensare al reddito di cittadinanza, al taglio dei vitalizi, alla lotta al precariato o alla stretta sui reati contro la Pubblica amministrazione e la trasparenza sui finanziamenti ai partiti. Ma come non siamo forse stati bravi a raccontare il nostro lavoro, così non possiamo permetterci oggi di non saper riconoscere le nostre colpe. Ancora ieri (lunedì, ndr) durante l’assemblea congiunta fioccavano frasi fatte, slogan e selfie. Basta, davvero».
La critica va oltre. Il Movimento, prosegue Federico, è nato perché «cittadini informati e formati entrassero nelle istituzioni e rendessero trasparente e partecipata ogni decisione politica. Invece abbiamo banalizzato la comunicazione semplificando in maniera esasperata i messaggi, non più stimolando la critica e la ragione, ma assecondando umori e pulsioni. Ed allora torniamo a parlare con le persone di temi e coinvolgiamole. Facciamo capire la solennità di questo momento e prendiamo il coraggio a due mani. Quel coraggio che troppe volte è mancato a tutti noi, anche a me. Fare il bene del Paese è anche fare il bene del Movimento? Ha senso questa domanda? E i sondaggi? E le poltrone, da tagliare o da mantenere? Non riesco ad anticipare alcuna soluzione, ma sono sicuro che serva da parte nostra un repentino cambio di atteggiamento». Affidiamoci ai gruppi, conclude, e confidiamo in Mattarella. Ma il messaggio, che ha un suo significato per l’esito della crisi in un senso o in un altro, chiama in causa l’attuale gruppo dirigente del Movimento.

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