Cinquecentoquaranta euro al mese, più le spese: tanto costa l’affitto di un appartamento nel quartiere San Giovanni. Non a Campobasso: siamo a Roma, in via dell’Ambaradan (quando si dice il caso). E quei 200 metri quadri che fanno scoppiare il caso nel Movimento 5 Stelle sono ancora abitati dall’ex ministro Elisabetta Trenta e dal suo consorte, Claudio Passarelli, maggiore dell’Esercito, campobassano doc. Occupati ancora, sebbene la Trenta non sia più titolare del Dicastero alla Difesa e abbia una casa di proprietà al Pigneto, in ragione del ruolo del marito. Una zona non troppo sicura, che non garantiva la indispensabile riservatezza quell’appartamento al Pigneto, situato in una strada senza uscita. Ma oggi quelle ragioni di sicurezza non viaggiano più sulla corsia preferenziale come un tempo. Il maggiore Passarelli tecnicamente ha diritto all’alloggio di servizio ma, ed è questa la ragione per la quale il caso è esploso, l’appartamento riservato all’ex ministro Trenta sarebbe passato nelle disponibilità del marito senza soluzione di continuità. La faccenda sarebbe stata gestita direttamente dall’amministrazione dell’Esercito, secondo la ricostruzione di Elisabetta Trenta, che avrebbe deciso la riassegnazione che «ha evitato ulteriori aggravi economici» spiega ancora riferendosi anche alle spese per il trasloco. Una ‘patata bollente’ quella capitata fra le mani di Luigi Di Maio: questione sconosciuta al Movimento fino a quando non è diventata lo scoop del Corsera, dice. Ma ora tocca prendere provvedimenti, non ultimo quello dell’espulsione. Nel frattempo, la Procura militare ha aperto un fascicolo (senza indagati né ipotesi di reato): una indagine conoscitiva, si legge sui quotidiani nazionali dove la notizia è rimbalzata ieri pomeriggio, per compiere i dovuti accertamenti sul caso. Da un lato il ministro Luigi Di Maio che affonda il coltello nella piaga. «Aveva tre mesi per lasciare la casa, è bene che la lasci – il commento rilasciato ai microfoni di Rtl 102.5 -. Se il marito, come ufficiale, ha diritto all’alloggio, può avanzare domanda e potrà accedere come gli altri ufficiali ad un appartamento» dice ancora. «Questa cosa fa arrabbiare i cittadini e ancor di più noi del Movimento 5 Stelle, gli unici deputati che si tagliano lo stipendio». Dall’altro lato Elisabetta Trenta, volto noto nel capoluogo molisano e non solo per la presenza quasi fissa alle passate kermesse elettorali, che rilancia l’ipotesi di una strumentalizzazione della questione tesa a screditarla, a colpirla. «Da ministro avrei potuto usufruire di un alloggio di rappresentanza, non l’ho chiesto. Ho deciso di usufruire di un alloggio di servizio come qualsiasi altro militare. Tutto perfettamente regolare, nessuna legge è stata violata» la spiegazione social, affidata ad un post sul proprio profilo Facebook. Che aggiunge carne a cuocere. «Vorrei però capire dove sarebbe la mia colpa. E’ per caso mio marito la colpa? Perché, come molti sanno, oltre ad essere io una militare ho anche un marito soldato. È questa la colpa? È una colpa essere sposata con un uomo che ha giurato al Paese come ho fatto io stessa? Se mio marito ha diritto a quell’alloggio, dove sarebbe la questione di opportunità politica? O mi sarei dovuta separare da lui? Per far felice chi?». Una montatura mediatica, rilancia ancora, senza precedenti. E poi l’accusa: ci sono precisi mandanti, «gli stessi che hanno diffuso un documento interno alla nostra intelligence sul mio conto». Si sente con la coscienza a posto, «quella casa è stata attribuita a mio marito con una procedura regolare. Posso andare a dormire sul divano, se qualcuno ci tiene, ma da che mondo e mondo due persone sposate vivono sotto lo stesso tetto. Anche se in passato una delle due ha avuto l’onore e, nella fattispecie, anche la “sfortuna” di fare il ministro». Il termine dei tre mesi di tempo per lasciare i 200 metri quadri in zona San Giovanni ancora non scade e il marito – attualmente aiutante di campo di un generale e ancora residente a Campobasso dove ha un alloggio di proprietà – ne avrebbe fatto richiesta. La casa al Pigneto resta sfitta e non appena terminerà l’incarico del maggiore, la famiglia Trenta-Passarelli lascerà via dell’Ambaradan. Così sostiene l’ex ministro. Al netto della posizione del Movimento e dell’indagine conoscitiva della procura militare.

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