“Dai una spallata al tuo dolore”, questo il tema della X edizione della Giornata Nazionale del Mal di Testa 2018 dedicata a tutti coloro che soffrono di una delle tante forme di cefalea. Inserita dall’Oms fra le prime 10 cause al mondo di disabilità, il mal di testa, solo in Italia, colpisce oltre 10 milioni di persone.
Per molti può essere un disturbo occasionale, il classico cerchio alla testa che viene quando si è sotto stress per un esame o se si è esagerato la sera prima con il cibo o l’alcol. Una pillola, una bustina sciolta nell’acqua, oppure semplicemente si aspetta un po’ e tutto torna a posto. Non è così però per 2 miliardi e mezzo di persone in tutto il mondo che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ne soffrono in modo più frequente e grave, fino ad avere in alcuni casi un peggioramento significativo della propria qualità di vita.
L’Unità operativa di medicina delle Cefalee dell’Irccs Neuromed di Pozzilli, centro accreditato dalla Società italiana per lo studio delle cefalee (Sisc), affronta quotidianamente questi problemi. Accoglie persone che da tempo convivono con il mal di testa, che spesso hanno tentato a lungo di gestire la situazione con i farmaci, fino a non averne più giovamento. Accogliere e ascoltare sono termini molto importanti, perché la cefalea ha una sua storia, diversa da persona a persona. Proprio questa storia è fondamentale per affrontarla correttamente.
«Inquadrare a dovere un mal di testa – spiega la dottoressa Anna Ambrosini, responsabile dell’Unità operativa – è un lavoro lungo e complesso, che richiede un grande dialogo ed una notevole capacità di analisi. Nel corso di una prima visita, ad esempio, dobbiamo porre ai nostri pazienti più di 300 domande, non solo sulle caratteristiche temporali e qualitative del loro mal di testa, ma anche sulla loro salute in generale e sul loro stile di vita. Il fatto è che non esiste per il momento alcun esame specifico capace di dirci se la persona davanti a noi ha un tipo di mal di testa oppure un altro – secondo la classificazione internazionale delle cefalee ne esistono più di 200 tipi! Non possiamo fare un test e leggere un risultato. Il racconto, l’esperienza personale del paziente, sono fondamentali per operare una diagnosi corretta e proporre un eventuale percorso terapeutico personalizzato».
C’è un momento “critico” nella vita di chi soffre di mal di testa. Avviene quando diventa un vero problema, quando non è più qualcosa che capita una volta ogni tanto (è da ricordare che in Italia il 52% delle donne ed il 42.8% degli uomini ha avuto almeno un episodio di cefalea nello scorso anno), oppure quando si comincia a prendere antidolorifici un po’ troppo spesso.
«Quella è una fase molto importante – continua Ambrosini, che dal 2015 è membro del Consiglio direttivo della International Headache Society (IHS), la più importante società scientifica a livello mondiale nel campo delle cefalee -. Il paziente può trovarsi ad assumere farmaci sempre più spesso, a lasciare che la cefalea condizioni la sua vita e le sue scelte. Oppure può cominciare a cercare compulsivamente le possibili cause. Esistono, è vero, cefalee attribuibili ad alcune patologie organiche o meno, sia banali sia molto serie: sono le cefalee definite secondarie, che possono essere trattate curando la malattia che ne è alla base, quando questo è possibile. Ma rappresentano solo il 10% dei mal di testa, e sono sempre riconoscibili dal medico esperto di cefalee che esegua una anamnesi accurata ed un buon esame clinico. La stragrande maggioranza dei casi di mal di testa è invece rappresentata da cefalee primarie, in cui la cefalea stessa è la malattia ed il dolore ed i sintomi che la accompagnano sono soltanto un’espressione della malattia. Arriva un momento in cui, dopo aver fatto i necessari esami per escludere la presenza di altre patologie, il mal di testa cronico deve essere trattato per quello che è: una patologia precisa a se stante, che ha bisogno di un percorso specialistico adeguato».
Spesso le cose possono peggiorare. Col tempo i normali antidolorifici se presi a dosi troppo alte o con troppa frequenza possono diventare non soltanto inefficaci ma persino dannosi, determinando la cronicizzazione della malattia.
La risposta è nel percorso specialistico, «che seguirà il paziente per tutta la vita – commenta Ambrosini -. Dalle cefalee primarie non si può guarire. È un po’ come l’ipertensione arteriosa essenziale o il diabete mellito: si può trattare, si può tenere sotto controllo, si può curare, ma sappiamo (e lo deve sapere il paziente) che non si risolverà mai definitivamente. Otteniamo miglioramenti significativi nel 70-80% dei casi. Le varie strategie che mettiamo in atto puntano a gestire la patologia, a limitarla, restituendo qualità della vita al paziente. Un percorso che dura molto a lungo. E che deve vedere una collaborazione strettissima tra il paziente, il suo medico ed altri eventuali specialisti».

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