Il Molise è casa sua, ma Roberto Fagnano non sembra avere il chiodo fisso di tornare. Avvocato campobassano con una carriera manageriale iniziata al Comune di Termoli e proseguita nella programmazione della Salute. Molisano apprezzato fuori dalla sua terra, respinge la rappresentazione evangelica del nemo propheta in patria: «Le mie occasioni in Molise le ho avute».
Conosce bene la nostra sanità, le occasioni sprecate. Dirige, dal 12 agosto, quella abruzzese dal dipartimento regionale dove lo ha voluto la giunta di centrodestra guidata da Marco Marsilio. In Abruzzo, a capo dell’Asl di Teramo, lo aveva chiamato nel 2014 l’ex governatore del Pd Luciano D’Alfonso. Sintesi ricorrente per i direttori generali apprezzati. In queste ore, in patria, c’è chi come è naturale gioisce della sua carriera, ne evidenzia le qualità. Se fosse in Molise – è la netta sensazione dopo la chiacchierata – non sarebbe propheta: la sua idea di come sarà la sanità del prossimo futuro e la gestione ottimale per una popolazione sempre più anziana – dato di fatto comune fra noi e l’Abruzzo – parla chiaro.
Come si sente in questo nuovo incarico?
«Beh, un po’ dispiace lasciare quello che si era avviato. Però bisogna guardare sempre avanti».
Sicuramente, un traguardo importante.
«È certamente un risultato. Tra l’altro io non sono abruzzese. Vuol dire che c’è il riconoscimento dell’attività tecnica e professionale che è stata fatta. Non è che io sia amico di qualcuno, per capirci… C’è il riconoscimento del lavoro svolto».
Scelto dalla sinistra, promosso dalla destra…
«Mi spiego meglio: questi non sono ruoli per i quali in Italia ci sono tantissimi soggetti che aspirano e hanno i requisiti. Tra questi ‘non tantissimi’ probabilmente l’aver fatto un buon lavoro a Teramo ha influito, sicuramente c’è una componente di giudizio di merito in questa scelta. Comunque, l’Abruzzo si troverà comunque in una fase complessa e difficile: è uscito dal commissariamento ma è sempre in piano di rientro. L’impegno, voglio dire, è sempre gravoso».
In Molise è stato dg della Sanità fino al 2012. Si è sentito più apprezzato fuori, poco valorizzato in casa?
«Ma no. Perché? Io le mie occasioni le ho avute lì. Il problema piuttosto è che il Molise è in una situazione difficile. Innanzitutto dal punto di vista economico. È una regione piccola, quindi il risultato economico è più difficile da modificare. Pensiamo all’Asl di Chieti, magari avrebbe gli stessi risultati del Molise da sola, ma in una regione più grande riesce ad essere compensata da altre realtà, da numeri più grandi. In più, purtroppo, in Molise si registra una grande conflittualità. A Roma di noi dicevano: è arrivato il condominio».
Pochi e litigiosi?
«Questa vicenda non si riesce a superare. Ed è difficile lavorare in Molise. Io mi immedesimo nel direttore generale del Molise, nel commissario e nel sub commissario… Non che altrove siano rose e viole. Però lì c’è un ambiente di lavoro oggettivamente complicato».
Una settimana fa questi concetti li ha consegnati a Primo Piano l’ex dg dell’Asrem Sosto che da settembre guiderà l’Asl Napoli 3. Difficile fare i manager nella XX Regione?
«Lui va in una realtà più grande dal punto di vista gestionale. Non tranquilla come il Molise, ma più importante. Purtroppo, tornando alla sua domanda, il Molise risente del fatto che non sono state fatte le scelte perché si è avuto paura di farle in passato e oggi si sconta questa condizione. Per carità, io non ero sulla luna… Ma la politica avrebbe dovuto fare le scelte. Fino a pochi anni fa c’erano 11 ospedali. Provincia di Teramo, stessi abitanti, l’Asl ha quattro ospedali. Il Molise poi paga un blocco del turnover eccessivamente prolungato. Inoltre, oggi, tutt’Italia ma soprattutto le regioni medio piccole risentono della mancanza di medici. Si fanno i concorsi e vanno deserti. Perché i medici – in particolare anestesisti, radiologi, chirurghi – vanno dove si vive e si lavora meglio. Creare attrattività nelle regioni medio piccole è difficilissimo. Questa è la grande sfida del futuro ovunque».
La diagnosi di voi direttori g è pacifica e rispettabile. Ma il Molise non può essere condannato. Quali sono le possibili soluzioni?
«Io sostengo da tempo la necessità di un incentivo giuridico o economico per i medici che vengono a lavorare in queste realtà più periferiche. Come peraltro avviene in molti ambienti militari o della magistratura. Un incentivo a venire a lavorare in Molise, e anche in Abruzzo, che sia anche di carriera e non necessariamente economico. Altrimenti il rischio vero c’è. I medici stanno andando in pensione e non ci sono i sostituti. Quota 100 inoltre porta a un’ennesima fuoriuscita. Forse, poi, questo è il motivo per fare delle scelte: non si può continuare ad avere ospedali tutti per acuti, le strutture devono essere dedicate al territorio, alla residenzialità».
Un tema di competenza del suo nuovo ruolo è quello degli accordi di confine che possano aiutare il Molise a migliorare l’offerta di assistenza.
«Guardi, ne accenno solo in linea generale in questa fase. Gli accordi di confine si possono anche fare, bisogna capire con quali finalità…».
Pensiamo alle patologie tempo dipendenti.
«Sicuramente l’Abruzzo ha un’organizzazione sulle patologie tempo dipendenti migliore, tutta sotto il controllo del sistema sanitario pubblico. Se a qualcuno viene l’ictus a Ferragosto una base elicotteri c’è, si riescono a garantire i tempi. Il Molise da questo punto di vista deve migliorare».
Gli obiettivi che si pone da direttore del dipartimento Sanità.
«Sicuramente riuscire a garantire la sanità con meno soldi a disposizione. Perché il fondo sanitario viene distribuito pro capite e la popolazione dell’Abruzzo diminuisce mentre il fondo nel suo totale non aumenta. Anzi, la popolazione aumenta in anzianità. Realizzare quindi, un’organizzazione per curare i cronici. Utilizzare tutte le risorse per l’edilizia sanitaria, l’Abruzzo ha molti soldi non spesi in questo campo, che possono diventare investimenti per un’organizzazione più efficiente. Molti ospedali sono stati costruiti alla fine degli anni ’60 e le nuove tecnologie oggi non vi trovano una sistemazione adeguata. Infine, come ho già detto, riuscire a trovare i medici. Nei prossimi cinque anni ne mancheranno 20mila rispetto ad oggi. Questi i grandi temi, che sono stati solo minimamente intaccati».
rita iacobucci

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