Territorio esiste se gente c’è. Avrebbe esclamato così, il compianto Vujadin Boškov, famoso per le sue caustiche massime in ambito calcistico, dinanzi all’inarrestabile calo demografico. Agnone scende sotto i cinquemila abitati, dato mai registrato nella storia e in molti si interrogano su quale futuro attende la cittadina altomolisana e il suo comprensorio. Problema atavico quello dello spopolamento delle aree interne, che mai nessuno ha inteso seriamente affrontare di petto. E questo è il risultato: sconcertante, drammatico, sotto molti aspetti tragico, con l’emorragia di residenti che contribuisce a spazzare via speranze e sacrifici di quanti hanno investito e si ostinano ad abitare tra i monti a cavallo tra Molise e Abruzzo. Inutile girare attorno al problema. Mancanza di lavoro e di politiche sociali, viabilità da anteguerra, niente fibra ottica, continui tagli ai servizi, nonché il miraggio della fiscalità di vantaggio, tra le principali cause del tracollo di un’area condannata alla desertificazione, dove il rischio concreto è quello che sarà abitata solo dai cinghiali. Profezia tra l’altro fatta dalla Caritas diocesana che nel 1990 fissò la data al 2040. Di questo passo il fenomeno avrà certamente un’accelerazione. Così ammettere di essere di fronte ad un genocidio silenzioso, seppur senza armi di distruzione, non vuol dire essere pessimisti, bensì rilevare ciò che accade quotidianamente. Senza interventi e strategie immediate di chi governa, senza l’impegno serio di istituzioni e classe politica, senza la presa di posizione da parte dei giovani di rimboccarsi le maniche, questo lembo di terra non godrà più della presenza umana.
Poche nascite e zero incentivi alle famiglie. Due nati al mese. È il trend registrato ad Agnone, dove nel triennio 2015-2017 sono arrivati 75 neonati, che, però, non sono riusciti a pareggiare il numero dei decessi pari a 153 unità. La crisi delle culle non è altro che la conseguenza di politiche per le famiglia inesistenti nei piccoli centri come nel resto di un Paese, in particolare nel Sud. Eppure agevolare i nuovi nuclei con sgravi fiscali e incentivi, non appare un concetto così astratto che, tuttavia, chi di dovere, non riesce proprio a metabolizzare, amministrazioni locali comprese.
Mancanza di lavoro e tagli ai servizi. L’occupazione è una delle maggiori cause che spinge i giovani ad abbandonare le aree interne dove, puntualmente, vengono dimenticate le potenzialità di un territorio che non riesce a mettere in rete turismo religioso, agroalimentare, servizi agli anziani, artigianato, tanto per fare qualche esempio. Al tempo stesso, si registrano tagli a servizi essenziali. Sarà un caso, ma il depauperamento dell’ospedale “San Francesco Caracciolo” rappresenta l’emblema dell’inarrestabile discesa demografica.
Viabilità da Terzo mondo. L’assenza di una viabilità scorrevole verso centri quali Pescara o Campobasso non contribuisce ad alimentare il fenomeno del pendolarismo che in qualche maniera potrebbe arrestare l’emigrazione. Prendiamo a caso i lavoratori della Val di Sangro. Centinaia di giovani che, quotidianamente, sono costretti ad affrontare un viaggio stressante dovuto ad un sistema viario scandaloso soprattutto nei periodi invernali. Ebbene, molti di loro, dopo anni di sacrifici, decidono di trasferirsi nei centri della piana di Atessa (Ch). Basterebbe un accordo tra le due Regioni per rettificare il tragitto e renderlo più confortevole. Mica chiedere di andare sulla Luna!
Legge sulla montagna. Questa sconosciuta. Licenziata nel 2003 dalla Regione (primo firmatario l’allora assessore Candido Paglione, ndr), avrebbe dovuto portare una serie di agevolazioni alle popolazioni di montagna tra cui servizi e una tassazione ridotta per quanto riguarda riscaldamento e carburante. Peccato che ancora oggi resti chiusa in qualche cassetto nelle stanze del potere di Campobasso, puntualmente rispolverata alla vigilia di ogni campagna elettorale.

Un Commento

  1. Giambattista Faralli scrive:

    Un articolo del giornale L’Eco del Sannio, datato 1906, scrive le stesse cose. All’epoca la popolazione era scesa a 6.000 unità, rispetto alle 12.000 persone che la città contava nel 1860, e il redattore ne deduceva che la causa dell’impoverimento del territorio era riconducibile all’Unità d’Italia (che altro non era che unificazione dei mercati italiani, senza barriere doganali e con moneta unica: la lira = euro di oggi, e i mercati sono europei). Peggio che andar di notte! Il centinaio e più di anni che son passati ripropongono il problema elevato al quadrato. Mi stia a sentire: non c’è niente da fare …

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