L’inchiesta sulle auto acquistate all’estero e rivendute eludendo il pagamento dell’Iva, i cui primi dettagli sono emersi a ridosso delle festività natalizie, è di proporzioni molto, ma molto più estese rispetto a quanto si è appreso sinora.
Proporzioni tali che hanno indotto la Procura della Repubblica del Tribunale di Campobasso a chiedere diverse misure cautelari, tra cui l’arresto di sei persone.
Campobasso, ovvero il Molise, per gli anni oggetto di indagine, risulta essere il luogo del Paese in cui si sono vendute più auto acquistate all’estero.
La Squadra Mobile del capoluogo si è avvalsa della collaborazione della Agenzia delle Entrate, che a sua volta ha chiesto aiuto agli omologhi uffici di mezza Europa, Germania in particolare.
Circa 3mila le auto immatricolate (2.897 per la precisione) tra il 2014 e il 2017, per una evasione Iva accertata pari a 4 milioni e mezzo. Iva – e questa è la prima importante notizia – che saranno chiamati a versare gli acquirenti finali, ovvero, coloro a cui quelle auto sono intestate. L’Agenzia delle Entrate sta infatti spedendo le relative comunicazioni che prevedono il sequestro immediato di targa e libretto, che saranno restituiti solo ad avvenuto versamento dell’imposta evasa.
L’inchiesta coinvolge diversi venditori, per lo più con sede nel capoluogo (due quelli che hanno prodotto il maggiore volume di immatricolazioni) e diverse società cosiddette “cartiere”, ovvero, intermediarie delle operazioni che, secondo la Procura, sono fraudolente. 48 gli indagati.
Questo il sistema messo in piedi da quello che secondo gli inquirenti è un sodalizio criminale, tant’è che tra i reati contestati c’è l’associazione per delinquere finalizzata a commettere illeciti in ambito fiscale, in particolare, l’omesso versamento dell’Iva dovuta: i fornitori esteri a cui i rivenditori molisani si rivolgevano, cedevano i veicoli ad una società “cartiera” emettendo fattura non imponibile ai fini Iva, trattandosi di acquisto intercomunitario da tassare nel Paese di destinazione del bene, ovvero, in Italia. La società “cartiera” (riconducibile al venditore) vendeva il bene al venditore, addebitandogli l’Iva, che la società “cartiera” però non aveva versato né al Paese d’origine dell’auto, né in Italia. Il venditore oltre a “scaricarsi” l’Iva, vendeva l’auto al cliente finale, praticando un prezzo assai appetibile, immatricolando il mezzo presentando alla Motorizzazione una falsa dichiarazione sostitutiva di atto notorio sottoscritta dall’acquirente finale (a sua insaputa), nella quale veniva attestato che l’Iva non era dovuta perché lo stesso acquirente si era rivolto personalmente per l’acquisto nel Paese di origine dell’auto. In tutto il meccanismo un ruolo lo avevano anche le agenzie di disbrigo pratiche auto che si occupavano delle immatricolazioni.
Va da sé che non versando l’Iva, i rivenditori finiti nella rete dalla Polizia riuscivano a praticare un prezzo all’acquirente molto conveniente rispetto ai concessionari “ufficiali”. Ma alla fine dei conti, quando a breve coloro che, seppur inconsapevolmente, hanno acquistato un’auto convinti di fare un affare saranno costretti a versare un ulteriore 22% all’Agenzia delle Entrate, probabilmente si pentiranno della scelta. Avranno tuttavia la possibilità, se davvero inconsapevoli, di rifarsi su chi quell’auto gliel’ha venduta.
ppm