Rinascere a 43 anni. È ciò che chiede Giovannino, ex operaio, ristoratore (titolare di un noto locale nel cuore del centro storico che ha chiuso i battenti nel 2011, ndr) e, in ultimo, guardia giurata di Campobasso. Una persona conosciuta in città e circondata da molti amici prima che la sua vita venisse travolta dagli eventi.
Giovannino, giovane papà separato, è costretto da circa 4 anni su una sedia a rotelle.
Il suo calvario parte nel lontano maggio 2017 quando, a causa di forti dolori all’addome, viene ricoverato in ospedale, presso l’ex Cattolica, oggi Gemelli Molise. Sottoposto a colonscopia, i medici individuano due polipi al colon e provvedono subito a rimuoverli. Nel corso del controllo gli specialisti si accorgono che una parte del colon si è ristretta ma lo strumento non va oltre l’ostruzione. Dopo gli accertamenti lo rimandano a casa.
Alcuni mesi più tardi i dolori tornano e sono anche più forti. Giovanni torna in ospedale, stavolta al Cardarelli.
I medici decidono di sottoporlo ad una tac per avere un quadro clinico più chiaro per poi, eventualmente, intervenire. Succede, però, che Giovannino, all’epoca un “ragazzone” di 138 chili, viene trasportato in sala tac da due giovani ed esili operatrici. Ad una delle due, nel trasferimento del paziente sul macchinario, scivola il lettino. L’incidente causa a Giovannino una rovinosa caduta.
«Credo di non aver mai urlato così in vita mia e di non aver mai provato un dolore così lancinante», racconta. L’impatto del fianco con la base del macchinario gli hanno infatti provocato una seria perforazione del colon.
La mamma, in sala d’attesa, all’urlo straziante del figlio, si precipita a chiedere cosa sia successo. «L’ho visto uscire in barella, non capivo cosa fosse accaduto. Poi qualcuno mi ha detto che lo stavano portando d’urgenza in sala operatoria», spiega.
«Nella ‘sfortuna’ l’unica nota positiva è che tutto ciò è successo in ospedale – dice Giovanni – perché se fosse accaduto a casa o per strada sarei certamente morto».
Giovannino, infatti, necessita di un delicato intervento e ogni secondo diventa ‘prezioso’. In sala operatoria gli viene ‘aperto’ l’addome. È una corsa contro il tempo. All’interno del suo organismo circolano circa 5-6 chili di feci e rischia una pericolosa infezione.
«La prima cosa che ricordo è che mi sono svegliato in rianimazione. Provavo a parlare ma non mi usciva la voce. Toccandomi ho capito di avere il respiratore. Allora ho iniziato a guardarmi intorno. Di fronte ho visto un monitor gigante. Il lettino su cui ero riverso era ipertecnologico. Poi mi sono guardato la pancia e ho visto delle sacche e una serie di tubicini che mi entravano e uscivano dall’addome. Ho iniziato ad agitarmi. Poi qualcuno, forse un medico, mi ha riaddormentato».
Dall’operazione al coma farmacologico passano altri 4 mesi. Giovannino si ritrova con un addome devastato. Una lunga ferita gli attraversa la pancia. Ha anche una sacca per le deiezioni e un’altra per gli scarichi del colon.
Uscito dal coma, un giorno si ritrova il letto insanguinato. La ferita è tutta aperta. I punti hanno ceduto.
«Da lì parte la mia sventura. Mesi e mesi in ospedale con la ferita aperta. Non poteva essere fasciata o richiusa per via di queste sacche».
Dopo altri 4 mesi di degenza viene trasferito in riabilitazione. «Non sentivo niente, non riuscivo ad alzare le gambe nemmeno durante la terapia e le manovre riabilitative».
Finalmente torna a casa. La ferita è sempre aperta ma viene puntualmente disinfettata dagli infermieri addetti all’assistenza domiciliare.
Passa qualche giorno. Giovanni ha una crisi respiratoria e finisce di nuovo in ospedale. A seguito di accertamenti viene trasferito al nosocomio di Chieti perché il Cardarelli è sprovvisto dello strumento per effettuare l’endoscopia tracheale.
«Sono arrivato all’ospedale di Chieti bombardato di farmaci. Avevo addirittura le allucinazioni. Vedevo l’acqua colare dalle pareti. Migliaia di moscerini sul muro che si univano formando una croce. Ero completamente fuori dal mondo».
Dopo Chieti, a fine novembre, entra al San Francesco di Vasto, noto centro riabilitativo.
«Da lì è cambiato tutto. Ho avuto la fortuna di conoscere il dottor Cinalli, di una competenza e un’umanità unica. Quando ha visto il mio ‘buco’ sull’addome, la prima cosa che mi ha detto è stata: “Ci vorrà tempo e pazienza ma non ti preoccupare Giovanni, questa ferita te la faccio sparire”. Una frase che mi ha tranquillizzato. Dopo pochi giorni dall’ingresso in struttura mi hanno messo subito sulla sedia a rotelle. Non potevo crederci. Ero stato steso in un letto d’ospedale per quasi un anno. Lì ho ricominciato a vivere».
Giovannino inizia a compiere dei progressi. Sulla ferita gli vengono applicate delle placche di collagene equino. Ogni giorno gli effettuano almeno due medicazioni. Passano sei mesi. Il 16 giugno 2018 viene dimesso.
Ad agosto torna al Cardarelli: finalmente può essere operato. La ferita viene richiusa.
Ma i problemi non sono finiti e il suo percorso non è ancora concluso. Giovanni, infatti, dovrà affrontare altre operazioni.
Viene indirizzato di nuovo al San Francesco per la riabilitazione e la fisioterapia. «Lì sono tornato ‘autonomo’, almeno negli spostamenti, ma sempre con la sedia a rotelle».
Ora è in attesa di un intervento di protesi all’anca che può aiutarlo a tornare in piedi.
«Dopo questo lungo percorso – spiega la mamma – mio figlio dovrà affrontare altri interventi. Il più importante è quello all’anca. Eravamo riusciti a prendere appuntamento per la prima settimana di marzo 2019. Poi però è arrivato il Covid e da lì siamo ancora in attesa».
L’intervento a cui deve sottoporsi non è una passeggiata. I medici, infatti, hanno intenzione di operarlo ma per farlo deve esserci anche la disponibilità di un posto libero in rianimazione, se nel corso dell’intervento dovessero presentarsi complicazioni.
«Inoltre da marzo il reparto di ortopedia effettua solo urgenze – aggiunge la mamma -. Ci è stato detto che qualora i posti occupati in intensiva riuscissero a liberarsi si potrebbe prendere in considerazione l’intervento. Altri medici, invece, ci dicono che fin quando non ci saranno posti liberi per pazienti non Covid in rianimazione non si potrà fare. Al momento stanno anche prendendo in considerazione l’opportunità di trasferirlo al Veneziale. Intanto passano i mesi e mio figlio continua a stare su una sedia a rotelle».
Giovannino è stanco, soprattutto a livello psicologico. Ciò che ha subìto non lo augura nemmeno al suo peggior nemico.
I segni di questa esperienza, infatti, non sono soltanto fisici. Si sente abbandonato da tutti. Negli ultimi anni gli amici sono spariti ed è rimasto solo. Accanto a lui solo i genitori che si sta facendo in quattro per garantirgli le cure migliori e un amico, l’unico, che però si è trasferito a Bologna per lavoro: «A questo punto mi viene da pensare che di amici veri non ne ho mai avuti – commenta amareggiato – e l’ho dovuto realizzare nel peggiore dei modi.
Mi hanno ucciso in quella sala tac e mi hanno salvato la vita in sala operatoria. Ma tutta questa esperienza mi ha distrutto l’esistenza», dice.
Giovannino ora vorrebbe raccontare la sua storia anche a livello nazionale, tant’è che ha contattato più volte la redazione delle Iene richiedendo un incontro con l’inviato Matteo Viviani.
Negli ultimi tempi, però, sta ricominciando a vedere la luce in fondo al tunnel grazie all’amore. Lei si chiama Juanita ed è una splendida ragazza nigeriana. Si sono conosciuti sui social, come spesso avviene. E da allora non si sono più lasciati.
«Tra pochi mesi mi raggiungerà in Molise», racconta – finalmente con un sorriso – Giovannino.
«Il mio desiderio è quello di accoglierla in piedi, sulle mie gambe, e iniziare una vita insieme. Ho bisogno di riprendere in mano la mia esistenza, tornare ad essere felice e buttarmi quest’incubo alle spalle».
sl

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