Il Comune di Termoli non deve risarcire la Biocom per i ritardi che impedirono poi la realizzazione dell’impianto e che mise contro Frattura a Di Brino, anche politicamente. Lo ha deciso anche il Consiglio di Stato, nella sentenza pubblicata il 27 aprile scorso, che ha confermato quanto deciso dal Tar Molise, che respinse la richiesta di risarcimento del danno. Tra le motivazioni, i giudici di primo grado consideravano che la decisione del Comune di Termoli di auto-vincolarsi alla ponderazione delle emergenze idrogeologiche censite dalla cartografia del Pai e dei relativi indirizzi di tutela, prima della loro formale approvazione, appare comunque rispondente ad una regola di buona amministrazione e coerente con il generale principio di precauzione oltre che rispondente alle indicazioni della circolare dell’Autorità di Bacino prot. 189 del 6 marzo 2008 che invita a non sottovalutare o ignorare le informazioni contenute nel P.A.I. “sia nella proposizione di progettazione di interventi ma in particolare negli atti di pianificazione territoriale anche in relazione a quanto previsto nella legge regionale del 6 giugno 1996, n. 20 nonché della direttiva approvata con deliberazione di Giunta Regionale del Molise n. 3073 in data 5 agosto 1996”. Il risarcimento richiesto era di 4,5 milioni di euro. La domanda era rigettata dal Tar, sulla base di un’articolata motivazione in fatto. In essa veniva evidenziato, in particolare, che il pregiudizio lamentato non era imputabile al Comune resistente, bensì alla stessa società ricorrente. Quest’ultima, infatti, come evidenziato dalla stessa ordinanza del Consiglio di Stato n. 1222/2010, aveva omesso di presentare sin da subito tutta la documentazione necessaria ai fini del corretto e completo svolgimento dell’istruttoria, specie ai fini del rilascio del parere dell’Arpa, ritardando così i tempi del corrispondente procedimento. Inoltre, il Tar sottolineava che, anche nell’ipotesi in cui il Comune avesse diligentemente e tempestivamente concluso in senso favorevole il procedimento amministrativo, non sarebbe stato comunque possibile completare l’intervento progettato entro la data ultima del 30 giugno 2010, fissata dalla convenzione di finanziamento sottoscritta con la Regione Molise. Contro la predetta sentenza, la società Bio.Com ha proposto appello sulla base del seguente articolato motivo di censura. Il silenzio e più in generale le condotta del Comune hanno violato gli artt. 2 e 2 bis della legge n. 241/1990 e l’art. 20 del DPR n. 380/2001. In sostanza, non corrisponderebbe al vero che l’appellante ha trasmesso una documentazione incompleta, tenuto conto che la presentazione del piano quotato non era richiesta al momento della presentazione dell’istanza relativa al permesso di costruire (la pianificazione del rischio idrogeologico non era stata ancora adottata dal Comune). Il finanziamento dell’opera è stato quindi perso solo per cause imputabili all’Amministrazione comunale ed in particolare al suo comportamento, così come rilevato anche dalla citata ordinanza del Consiglio di Stato n. 1222/2010. Secondo la società ricorrente dovrebbe quindi esserle riconosciuto sia il danno consistente nella perdita subita (quantificato in euro 764.643), sia il danno relativo al mancato guadagno che dall’investimento sarebbe derivato (determinato in euro 4.329.000). Il Comune di Termoli si è costituito in giudizio il 31 agosto 2018, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato un ulteriore memoria con documenti il 10 gennaio 2020.
4. Anche la società Bio.Com ha depositato ulteriore documentazione e una memoria di replica il 22 gennaio 2020. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 13 febbraio 2020. I giudici di Palazzo Spada hanno innanzitutto rilevato che l’originario diniego del permesso di costruire è stato impugnato con un gravame (n. 420/2009) conclusosi con la sentenza del Tar del Molise n. 232/2016, che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere su richiesta della stessa società Bio.Com. In sostanza, il primo diniego si è consolidato ed è divenuto inoppugnabile (rectius: non è stato annullato), facendo venir meno la rilevanza di tutte le vicende successive (il rilascio del titolo edilizio intervenuto nelle more del giudizio, cui fa riferimento la società nella richiesta di cessazione della materia del contendere, è presumibilmente quello del commissario ad acta del 20 febbraio 2012, cioè un titolo ottenuto ben dopo la data ultima del 30 giugno 2010 prevista per la realizzazione dell’impianto). In ogni caso, anche a prescindere dall’assorbente circostanza del mancato annullamento del diniego, non risultano fondate le censure della ricorrente in ordine ad una responsabilità del Comune per il mancato utilizzo del finanziamento. Non sono infatti prive di sostanza le considerazioni del Tar in ordine alla circostanza che, anche qualora il domandato permesso di costruire fosse stato prontamente rilasciato alla società ricorrente, ciò non avrebbe comunque consentito alla stessa, dati i tempi ristretti, di completare l’opera progettata entro il termine finale del 30 giugno 2010, fissato dalla convenzione di finanziamento previamente stipulata con la Regione Molise. Al fine di porre in discussione la statuizione del giudice di primo grado, l’appellante sostiene che, in realtà, ben avrebbe potuto il Comune emettere il necessario titolo edilizio anteriormente all’indicata data del 30 giugno 2010, consentendo così alla Società stessa di rispettare il termine perentorio fissato dall’Amministrazione finanziatrice. Tuttavia, la ricorrente finisce per non distinguere l’atto richiesto all’Amministrazione comunale, vale a dire il permesso di costruire necessario per realizzare l’impianto di produzione del biodiesel, con l’adempimento cui essa stessa si era impegnata all’atto della sottoscrizione della convenzione di finanziamento con la Regione, consistente non nella semplice acquisizione di un titolo edilizio, bensì nel completamento del progetto finanziato. I due atti qui descritti non possono, con ogni evidenza, ritenersi tra loro equivalenti, rappresentando piuttosto l’uno un presupposto per il compimento dell’altro. D’altra parte, va considerato che, a fronte di una scadenza ultima fissata per il 30 giugno 2010, la società sovvenzionata provvedeva a presentare istanza di rilascio del permesso di costruire soltanto il 9 aprile 2009, ossia poco più di un anno prima del termine ultimo. Non sembra pertanto ragionevole assumere, alla stregua del criterio dell’id quod plerumque accidit, che deve guidare il giudice nella ricostruzione e nell’interpretazione dei fatti invocati a fondamento di un’eventuale responsabilità, che il tempo intercorrente tra la proposizione dell’istanza amministrativa e la scadenza del termine ultimo stabilito dalla convenzione di finanziamento fosse sufficiente a ottenere il permesso di costruire e a completare, sulla base di questo, il progetto finanziato con le risorse regionali. Tale conclusione appare poi ancor più fondata laddove si tenga a mente che il finanziamento era stato concesso già il 20 dicembre 2007, vale a dire circa un anno e mezzo prima dell’avvio del procedimento amministrativo di rilascio del titolo edilizio. Peraltro, sarebbe stato onere della parte appellante sottoporre a critica specifica e puntuale il capo decisorio in esame, fornendo elementi e deduzioni utili a rovesciare la tratteggiata presunzione di insufficienza del tempo a disposizione, a prescindere dal ritardo del Comune. L’evidenziata inidoneità dei tempi intercorrenti tra richiesta del titolo edilizio e il termine finale per il completamento dell’opera il cui progetto era stato sovvenzionato dalla Regione vale a “interrompere” l’ipotetico nesso di causalità tra l’illecito contestato al Comune, ossia l’ingiustificato e illegittimo ritardo nel completamento del procedimento a iniziativa di parte dinanzi a sé instaurato, e il danno patrimoniale lamentato in questo giudizio. Riguardo alla rilevanza di un’esatta e precisa ricostruzione della serie eziologica degli eventi, in caso di domanda di risarcimento del danno da ritardo in tesi imputabile a una Pubblica Amministrazione, vanno infatti ricordati gli approdi della giurisprudenza (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 235; Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5810 ; Sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358 e 12 novembre 2015, n. 5143). In particolare, nella menzionata sentenza n. 358 del 2019, si è enunciato il seguente principio di diritto, a corredo di quanto già chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 4 maggio 2018, n. 5: “l’Adunanza plenaria riconosce il danno da ritardo “a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento”, ricollegandolo alla “lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale” e subordinandolo, comunque, a rigorosi oneri di allegazione e prova dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità”. Per le regioni sopra esposte, l’appello va pertanto respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata. Biocom dovrà sostenere anche 10mila euro di spese legali in quota del Comune. Il Comune di Termoli è stato difeso dall’avvocato Mariarosaria Simonelli, su delega dell’avvocato Costantino Greco.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.