Una bimba di sei anni originaria della Cina. Vive a Venafro da tanto, dove i genitori lavorano e sono perfettamente integrati. Con loro ha trascorso qualche giorno nel Paese d’origine in occasione del Capodanno cinese. In concomitanza, purtroppo, con l’esplosione del Coronavirus.
È tornata a scuola ad inizio settimana, a poche ore dal rientro dal viaggio. Qualche genitore ha legittimamente mostrato preoccupazione. D’altronde, le notizie che stanno riempiendo quotidiani e telegiornali non sono confortanti.
La storia della bimba è finita sulle cronache locali. A torto o a ragione, c’è finita.
Nell’epoca dei social è complicato gestire e controllare le notizie. Non tutti, purtroppo, sono in grado di valutare le conseguenze di un fatto narrato pubblicamente. E quanto pericoloso sia identificare una bimba, tra l’altro di un’altra nazionalità, in una scuola di un quartiere di una cittadina di piccole dimensioni.
Lecita la preoccupazione dei genitori degli altri scolaretti che hanno chiesto probabilmente solo che trascorresse qualche altro giorno prima di tornare in classe. È facile intuire che in presenza delle medesime condizioni (ovvero, il rientro da un viaggio in Cina dove si sta diffondendo un’epidemia di cui ancora si conosce poco) avrebbero fatto altrettanto pure se la bimba fosse stata russa, rumena o italiana.
Ciò che non ha funzionato, diventando addirittura pericoloso, è quell’irrefrenabile, spasmodica e incontrollabile esigenza, nata con i social, di voler a tutti i costi rendere noto quanto accaduto.
Diciamoci la verità: telecamere e giornalisti a scuola non c’erano. Se un caso così delicato è venuto fuori con una naturalezza disarmante, almeno le persone di buon senso, tra cui tutti i genitori dei bimbi che frequentano quella scuola, qualche domanda devono porsela.
Per fortuna, la mamma della piccola, con altrettanta disarmante naturalezza, ha tolto tutti dall’imbarazzo.
«Ci tenevo a precisare – ha scritto la signora sulla sua bacheca Facebook – che in nessun modo siamo stati invitati a restare a casa, ma, poiché siamo stati in vacanza in Cina, e capisco le preoccupazioni che una mamma come me potrebbe avere, abbiamo non solo provveduto a produrre il certificato medico pediatrico di sana e robusta costituzione della bambina, ma anche, per mia personale decisione, sottoposto la bambina alle analisi cliniche necessarie. Ho, dunque, personalmente deciso di tenerla a casa una settimana in più per una maggiore tutela sia della mia bambina che degli altri compagni. In nessun modo voglio che si colpevolizzino le mamme dei bimbi poiché capisco, essendo mamma, quanta paura si possa avere in casi come questi. La prima a preoccuparsi della salute della mia bambina, infatti, sono io. Non la metterei mai a rischio né tantomeno metterei a rischio la salute di altri bambini. Mi dispiace si sia creato questo disguido e spero solo che nessuno colpevolizzi le mamme e che tutti capiscano che la decisione di tenere la mia piccola a casa è stata solamente mia».
Che serva da lezione per il futuro.
luca colella

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