Spettabile redazione,

Sul Coronavirus sono state spese e si continuano a spendere tante parole, definizioni, supposizioni, ma credo che quella che si attagli meglio a questa triste vicenda è: non ci troviamo di fronte ad un semplice cambiamento, ma ad un’epoca. Che è quanto fu detto a suo tempo sulla rivoluzione francese.
Tante cose che davamo per scontate sono state rimesse ampiamente in discussione, tanti comportamenti frenati, quelle che credevamo fossero delle priorità non lo sono più (se poi torneranno ad esserlo quando tutto questo passerà perché l’essere umano ha la memoria corta, non ci è dato prevederlo).
Fatto sta che, per quanto si tenti di ricondurre la vicenda ad un episodio di natura meramente sanitaria, rimane un innegabile alone di mistero: l’imponderabilità della malattia, l’eccessivo numero di morti, il fatto stesso che dall’oggi al domani siamo stati privati di tutto, riducendo le nostre azioni solo all’essenziale, per ripetere un aggettivo caro ai decreti ministeriali e ai loro redattori.
Il senso di finitezza e di precarietà che si avverte in questi giorni credo appartenga anche al più ottimista degli ottimisti. Senso acuito da decisioni a mio parere avventate sulla cancellazione delle celebrazioni, in particolare di quelle festive, nelle nostre chiese. Sia chiaro: l’incolumità della popolazione deve essere un imperativo categorico, però decidere per una serrata totale delle liturgie in un periodo in cui siamo già privati di tante altre cose è stata una scelta da improvvisatori.
Sarebbe stato sufficiente stabilire, per decreto (visto che il nostro Governo ne ha emanati a ripetizione, quindi non gli sarebbe costato nulla decretare anche questo), l’obbligatorietà della totale e approfondita sanificazione degli edifici di culto, magari ripetuta una volta alla settimana, l’obbligo di indossare mascherine e guanti una volta in chiesa, la perentorietà nell’osservare una distanza di quattro-cinque metri (il doppio di quanto raccomandato da virologi e Protezione Civile), arrivando così a poche decine di fedeli durante le celebrazioni, la moltiplicazione delle stesse come è stato fatto in Polonia e in Portogallo, l’impossibilità di somministrare la Comunione e di scambiarsi il segno di pace.
Che differenza c’è rispetto alle medesime misure osservate all’interno di un supermercato piuttosto che del negozietto di alimentari sotto casa? Dimostratemi dov’è l’errore.
L’errore sta nel piegarsi, senza ragionare, dinanzi a regole e costrutti di uno Stato che più che laico è più opportuno definire laicista, che si vergogna delle proprie origine cristiane, millenarie, e che fa di tutto per costruire il concetto di “libertà” o di “diritto” secondo una visione del tutto personale.
Sono rimasto sfavorevolmente colpito da certe affermazioni della Conferenza Episcopale Italiana, nonché del nostro Pontefice e di alcuni sacerdoti molisani con cui ho avuto modo di scambiare le opinioni.
Sicurezza sì, ma accettazione passiva di un diktat no.
La regola -giusta!- di evitare assembramenti può essere declinata in modo oculato e attraverso ampi controlli che diventano più efficaci se accompagnati da un valido e indiscutibile sistema sanzionatorio. Poiché in Italia siamo stati sempre scadenti su questo fronte, abbiamo pensato di cavarcela con chiusure sine die. In giurisprudenza si direbbe: “inaudita altera parte”, che sancisce la demolizione del principio generale del contraddittorio.
Questa “altera parte” è stata talmente inascoltata (inaudita) che persino un parroco che celebra la Santa Messa da un balcone, a DECINE di metri di distanza dai fedeli, affacciatisi dai balconi anch’essi, viene redarguito dalle forze di polizia.
Diffondere musica ad alto volume, affacciarsi dai condomini riscoprendosi improvvisamente italiani e solidali non è oggetto di redarguizione, però. Chi riesce a trovare un senso in tutto questo è bravo.
Ci troviamo a vivere un’epoca, non un semplice cambiamento. E’ l’epoca sì dell’esilio di Dio, ma anche del nostro personale esilio, di quello di coloro che, avendo disconosciuto determinati principi, adesso si ritrovano terribilmente soli, relegati in casa, a inventarsi chissà cosa per passare il tempo, piuttosto che a riflettere seriamente sulle ragioni di tutto ciò.
Mi interessa davvero poco se la mia è una voce fuori dal coro: sono una persona abituata ad esaminare le questioni da più prospettive e per un periodo ragionevole di tempo prima di formulare un giudizio. Dopo un vaglio di tutto quanto sta accadendo, di voci di sinistra come di destra, di chi la vede nera piuttosto che bianca, del virologo che la pensa in un modo piuttosto che in un altro, del sacerdote che ha coraggio piuttosto che di quello che accetta senza discutere, dei vari Don Abbondio piuttosto che dei Padre Cristoforo, sono giunto alla conclusione che il non porsi degli interrogativi dinanzi a provvedimenti legislativi e credere che, sempre e comunque, essi siano per il bene di una comunità, determina fratture profonde all’interno della stessa.
Diceva Montesquieu, uno dei redattori dell’Enciclopedia Francese: “La tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il bene pubblico quanto l’apatia del cittadino in una democrazia”.

Distinti saluti

Piersilvio Buffaldi

7 Commenti

  1. Mara Iapoce scrive:

    Bellissimo articolo. La gente recuperi la spina dorsale e i neuroni, e si riabitui a reagire quando qualcosa non va bene e a pensare quando ci sono palesi violazioni dei diritti. L’appiattimento culturale ci porterà in un baratro. Poi, però, non lamentiamoci!

  2. Carlotta Pietrantoni scrive:

    L’articolo vede piena rispondenza alla mia visione del mondo, ma anche semplicemente ad un qualcosa che si sta perdendo ai giorni nostri: il buon senso. Dopo una iniziale fase di stallo dovuta alla messa in atto di un rigido protocollo di sanificazione e di distanziamento sociale, si poteva partire da Pasqua o giù di lì. La gente che pensa che la fase due sia un tana libera tutti e fa la malora nei parchi, sulle spiagge, per le strade, non viene ritenuta un pericolo, fedeli che si recano in chiesa ad ascoltare una messa con le dovute precauzioni sì: ma siamo anormali o che cosa??

  3. Dario Autieri scrive:

    La CEI ha raccolto ciò che ha seminato: la privazione dell’esercizio di culto in uno Stato solo sulla carta democratico. Senza discutere piani di sanificazione e di distanziamento, ma decretando la fine delle celebrazioni sic et simpliciter. Quando sulle Alpi bergamasche c’era ancora una pletora di gente a sciare!! Quando uno Stato priva i cittadini della libertà di culto e dell’istruzione (vedi la patetica gestione delle scuole), altro non è se non impostura tirannia. Invito a leggere alcuni articoli comparsi su La Nuova Bussola Quotidiana.

  4. Camilla Pietrantoni scrive:

    Oggi, 7 maggio, dopo più di cento giorni dall’inizio delle restrizioni, la Conferenza Episcopale Italiana ha firmato il protocollo che riabilita la celebrazione delle sante messe dal 18.05, quindi, per quelle festive, dal 23. Meglio tardi che mai, diranno in tanti, semplicemente vedendo che c’è stato un ripristino, ma non badando a quale contesto esso è avvenuto, dopo quanto tempo e a seguito di quali rimostranze. Tutto lecito per questo esecutivo, ma anche per una CEI svuotata della vera funzione della Chiesa: quella di evangelizzare. Lecito dimenticarsi del Concordato, della Costituzione che sancisce la libertà di culto, dello stato di diritto. Il protocollo di sanificazione e di distanziamento sociale poteva essere presentato sin dal primo decreto di marzo, perché non lo so è fatto? Che questa compagine governativa abbia dell’agnostico e che creda che Marx ed Engels abbiano reso un servizio all’umanità, è sotto gli occhi di tutti, ma che si arrivi ad una tale forma di autoritarismo è solo il segno di una nuova configurazione politica che si avvicina sempre più all’idea di tirannia. Un parco pubblico piuttosto che un bar sono stati ritenuti più importanti della cura dell’anima del cittadino. Come anche della sua formazione culturale: scuole da riaprire solo a settembre, con se e con ma. Quando uno Stato non assicura la libertà di culto e la formazione culturale ai suoi cittadini, vuol dire che intende plasmarli secondo suoi precisi parametri ed obiettivi. Svegliamoci, gente!!

  5. Carlotta Malagò scrive:

    Cari signori, ma non lo avete capito che ci troviamo di fronte ad una dittatura? Subdola e non gridarla, ma dittatura. Se non abbiamo la memoria corta, tuttavia, ci sovverrà alla mente che tutte (ma proprio tutte) le dittature hanno fatto una brutta fine. Nel frattempo, facciamo sentire la nostra voce con determinazione e certi della bontà della nostra richiesta, e preghiamo: Colui al quale ci rivolgiamo è immensamente più intelligente di coloro i quali fanno di tutto per passare come tali, ma in realtà hanno solo boria e alta concezione di sé. La stupidità, da che mondo è mondo, non ha mai battuto l’intelligenza.

  6. Massimiliano Carli Bentivoglio scrive:

    Il signor Conte, che ci sta prendendo gusto a sedere su quello scranno nonostante il Governo non rifletta le attuali preferenze del Paese, con questo DPCM (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri) ha seminato oltre l’area consentita. Un capolavoro di mancanza di logica. Per fortuna che dietro c’era un comitato tecnico-scientifico! Fila al supermercato (in molti casi con scarso distanziamento sociale) sì, appuntamenti contingentati (massimo due persone alla volta) presso barbieri e parrucchieri no. Il take-away sì (in un periodo di crisi economica, in cui si preferisce fare tutto in casa), le sante messe no (nonostante il protocollo stilato proprio dalla CEI su sanificazioni, distanziamento, dispositivi individuali di protezione). Ho letto un ridicolo sondaggio su un’altra testata: signori, qui non si tratta di essere d’accordo o meno, qui si tratta di ripristinare uno stato di diritto, punto! L’anticlericalismo, che non perdete l’occasione di mettere in mostra, lasciatelo nelle vostre menti, perché di gente immatura e animata dall’odio non abbiamo bisogno in questo periodo di ripartenza. Un Paese non può rimanere chiuso a vita: se lo fa, significa che non è capace di attuare un valido sistema di controlli volto a stangare i soliti imbecilli. È come l’insegnante che punisce tutta la classe, pur sapendo che la marachella l’ha fatta Giovanni: prendi Giovanni in disparte, gli fai capire perché ha sbagliato e gli dai la punizione che si merita! Questa è autorevolezza, il primo comportamento è solo autoritarismo.

  7. Annamaria Tersiani scrive:

    Sono d’accordo su tutto il fronte.
    A me è capitato di parlare con alcuni francescani: si percepiva lontano un miglio che l’ordinanza governativa gli stava stretta e che anche per loro sarebbe stato sufficiente sanificare in modo professionale ed intensivo gli edifici di culto e mantenere il distanziamento sociale per poter andare avanti a celebrare le messe, quanto meno nelle domeniche e nei giorni festivi. Poiché, a seguito del distanziamento, si va a ridurre il numero dei fedeli presenti, anche se si decide di aumentate il numero delle celebrazioni nell’arco della giornata, si può ricorrere allo streaming: sì, ma come supporto per chi non può, non come unico strumento!
    Basta seguire poche, semplici regole ed avere la certezza della pena e tutto si può fare: è solo questione di volontà, in Polonia lo hanno ampiamente dimostrato.
    Sto sentendo il cardinal Bassetti e altri esponenti della CEI parlare in merito al ritorno delle celebrazioni: che tuonino con forza, perché lo sanno benissimo che la maggior parte dei presbiteri e dei fedeli italiani questo provvedimento non l’hanno mandato giù, per come è stato messo in forma. Ha ragione il lettore nel dire che cittadini che fanno baccano creando disturbo della quiete pubblica e assembramenti non vengono ripresi dagli organi di polizia e un povero parroco, ampiamente distanziato dai fedeli, sì: se questo non è clima persecutorio, ditemi voi che cos’è. Ma le persecuzioni sono sempre andate male, la storia ce lo insegna, pertanto, se non si vuole che anche questa, come le altre, ritorni indietro come un boomerang ai suoi autori e gli si pianti in mezzo ai denti, è bene fermarsi a discutere un piano di riapertura. Nel rispetto delle regole e come punto fermo l’incolumità delle persone, ma di riapertura.
    L’uomo non si salva da solo: ricordiamocelo, ogni tanto.

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