Gentile direttore,
I giornalisti stanno tanto insistendo sulla “fase due” di questa terribile emergenza. Il concetto “riapertura” è quello che si vuole far passare.
E’, di per sé, un concetto positivo. Innegabilmente positivo. Si omette, però, un aspetto fondamentale, poiché il vaccino non è ancora arrivato e non si sa quando arriverà: il COME ripartire.
Ci sono aziende che, autonomamente, stanno provvedendo a sanificare, installare termo-scanner, dotare i dipendenti di dispositivi di protezione individuale, decidere il distanziamento, ma ce ne sono altre che, un po’ per volontà, un po’ perché attendono le direttive del Governo, rimangono ferme e non vedono semplicemente l’ora di riprendere. Lo stesso dicasi per tutti quegli esercizi commerciali che sono presenti nelle nostre città. Parlare solo di QUANDO e non di COME è poco intelligente perché crea il rischio di recidiva, quindi di tutte quelle tristi scene a cui abbiamo assistito per settimane. Non credo che occorra una laurea in epidemiologia per capirlo, dunque non capisco perché, a una manciata di giorni dalla data “X” (il 4 maggio), non si stia ancora parlando del come. Mi sarei aspettata, in modo tempestivo, l’emanazione di un decreto che stabilisse in modo chiaro e inequivocabile le misure che tutti devono prendere per ripartire, quindi, come si diceva, distanziamento sociale, dispositivi di sicurezza, sanificazioni continue e obbligatoriamente da riportare alle autorità locali.
Penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che non si può passare dal niente (chiusura totale) al tutto (riapertura totale) come se niente fosse. Occorre semplicemente fissare regole certe, su cui non deve sorgere il minimo dubbio perché la loro formulazione deve essere semplice e chiara, e un sistema sanzionatorio non patteggiabile. Forse è proprio su questo concetto che l’Italia cade: tentennante davanti all’idea di sanzione, è timida nell’applicarla. Al contrario, è proprio attraverso la certezza della pena che si rende una società più civile perché più rispettosa di norme create per il bene di tutti.
Lo stesso può e deve avvenire per le celebrazioni liturgiche: la nostra Conferenza Episcopale Italiana ha finalmente detto che non si può stare a digiuno di esse a tempo indeterminato, per questo occorre fissare quattro punti chiari e indiscutibili come lo si fa per aziende ed esercizi commerciali. Sarebbe il colmo far riaprire una pizzeria e non una chiesa con le sue messe! E allora che cosa costa decretare l’obbligo di sanificazione, la distanza di due-tre metri tra fedeli, l’impossibilità di scambiarsi il segno di pace e di prendere la Santa Comunione? Non è difficile! Se lo streaming deve diventare la norma, ciò significa che lo Stato non è in grado di attuare il piano B. Un piano B con il quale prima o poi ci dovremo interfacciare. E allora che questo interfacciamento sia razionale e sensato.
Attendiamo lumi attraverso dirette a reti unificate.
Grazie se non vorrà riporre la mia missiva nel dimenticatoio.
Cordiali saluti
Carlotta Malagò

6 Commenti

  1. Arianna Di Biase scrive:

    Mi ha dato molto fastidio il senso di “tana liberi tutti” che tanta stampa e televisione -che ho seguito bene- hanno creato dalla seconda metà di aprile, quando contagi e deceduti erano ancora alti. Questo solo perché dal 4 maggio riaprivano le imprese, il comparto produttivo, la colonna portante di un Paese, e quindi non si vedeva perché anche altri settori non potessero riaprire. Locali di ristorazione e annessi avrebbero dovuto riaprire il primo giugno ed invece si è anticipato al 18 maggio. Ed infatti il grazie che la ristorazione ha dato a questa concessione è stato di disinteressarsi altamente del distanziamento sociale, ammassando gente in pochi cm quadri ed approfittando dell’ingrana elargizione di non fargli pagare la tassa di occupazione del suolo pubblico. Intanto c’è gente che non sa come fare ad andare avanti, imprese che stentano, export in affanno, politica industriale inesistente, visione pari ad un insieme vuoto. Ma agli “Stati Generali” di cui i giornalisti ci stanno ammorbando (non spiegando che cosa sono) in compenso parlano di “politiche green e inclusive”. Come a dire: in inverno non riparatevi dal freddo con il cappotto, ma con una borsetta di Armani. Mi sembra di sognare…

  2. Davide De Castris scrive:

    Ieri vedevo un servizio di Piazza Pulita sulla cosiddetta fase uno: morti, bare, camionette dell’esercito, anziani lasciati morire nelle strutture, gente intubata che si tenta di salvare, persone sintomatiche che non vengono assistite nonostante le chiamate al 118 o ai medici da parte dei parenti e decedute per queste negligenze ma non conteggiate nel numero dei deceduti perché non hanno fatto il tampone, personale medico e paramedico che si deve inventare soluzioni e spesso deve scegliere chi far vivere perché non ci sono sufficienti presidi medici, funerali raffazzonati perché non si possono avere contatti sociali, familiari strappati all’effetto dei propri cari e non più in contatto fisico con loro, mascherine, tamponi e altri dispositivi mancanti, scelte approssimative di alcuni amministratori e dormite del Governo nazionale. Tutto questo è stato già dimenticato? Detesto la retorica che la maggior parte dei giornalisti ha fatto sulla “fase due”, tentando in tutti i modi di instillare nella gente un senso di tana libera tutti, come se niente fosse. E il rispetto per quanto sopra dov’è? Solo ipocrisia nel commuoversi in fase uno? Vergognoso! Relativamente ai lumi di cui parla l’autrice dell’articolo, poi, le vorrei dire: ma davvero lei nutre speranze in un esecutivo che ha fatto di testa sua sulla fase uno, ha creato una progressività delle restrizioni che invece andavano prese di petto, per quanto dolorose, non ha istituito la zona rossa ad Alzano Lombardo e dintorni, si è cercato i propri spazi di celebrità con i DPCM annunciati a mezzanotte? Nessuno mette in dubbio la difficoltà di una situazione del genere, nuova per tutti, ma di buchi nel sistema ce ne potevano essere meno se solo si fosse messa nel cassetto la propria autocelebrazione.

  3. Mara Iapoce scrive:

    È davvero curioso osservare il presidente Conte ergersi a pater patriae e snocciolare il decalogo dei meravigliosi tempi che verranno, fatti di opere pubbliche, digitalizzazione, sburocratizzazione, semplificazione del sistema degli appalti. Ormai comodo nella sua veste di uomo solo al comando, regalatagli da un esecutivo dalla qualità inesistente, stringe i denti quando menziona il termine “opposizioni” che, a suo dire, vorrebbe convocare per discutere del piano di ripartenza dell’Italia. Un’Italia che non ha visto il posticipo né tantomeno la decurtazione delle bollette di luce, gas, acqua durante la fase uno. Un’Italia che si è vista attanagliare da un cipiglio dittatoriale attraverso il divieto sic et simpliciter delle celebrazioni liturgiche e l’impossibilità di tornare tra i banchi di scuola. Un’Italia disattenta e superficiale, che si è preclusa la possibilità di riflettere su quest’ultimo punto: se uno Stato limita o azzera la libertà di culto e quella di istruzione, altro non è che una tirannia, perché vuole impedire alla gente di pensare. Un’Italia che continua a permettersi l’evasione fiscale, con una marea di commercianti (soprattutto del settore alimentare) e di partite Iva che non rilasciano scontrini e ricevute, usufruendo però dei medesimi servizi di cui usufruisce chi le tasse le paga. Un’Italia che non vuol combattere i suoi mali endemici, che fa finta di non accorgersi delle sperequazioni sociali dovute a un’insana politica fiscale e alla criminalità organizzata. Un’Italia che continua ad essere stritolata dalla morsa delle clientele e delle raccomandazioni, obbligando i meritevoli a farsi la valigia. Un’Italia che non ascolta chi lotta per la vera dignità dell’uomo e per l’unica cellula che rende una società moderna: la famiglia. Un’Italia che vive di espedienti e di sotterfugi nell’attesa che lo Stato batta un colpo. Un’Italia che denigra le forze dell’ordine e non ne rivaluta stipendi, organici e carriere. Un’Italia che regala fette industriali alla Cina e a tutti gli squali stranieri che, consci dell’assenza di penali da pagare in caso di abbandono del suolo nazionale, ne fanno man bassa lasciando i lavoratori sul lastrico. Un’Italia che ha smantellato il chimico e il siderurgico e si chiede se certe produzioni debbano rimanere ancora in sede. Un’Italia che si è ridotta a importare olio e frutta dai Paesi del Mediterraneo. Un’Italia che fa finta di non vedere il vicino di casa italiano in difficoltà economiche o di salute e si riempie la bocca di banalità sulle politiche migratorie. Un’Italia che ha scambiato il concetto di diritti per qualcos’altro e lo sbandiera nelle circostanze più inopportune. Un’Italia che pensa di salvarsi da sola, presa da un immotivato delirio di onnipotenza. Un’Italia da riformare nelle midolla, che non può farlo attraverso scelte autoritarie di chi non ascolta nessuno, ma “divide et impera”. Più spina dorsale da parte degli italiani, più consapevolezza che il presente esecutivo (e qui non si può non fare un mea culpa della scelta scellerata di far cadere quello precedente) è una compagine raffazzonata di ala modernista (e non moderna) che improvvisa giorno per giorno, credendo che questa improvvisazione sia duro lavoro per il popolo italiano.

  4. Gianpaolo Mazzuccato scrive:

    Aggiungo: politiche per la famiglia non pervenute anch’esse. Hanno sottratto 30 milioni di euro alla famiglia dall’ultimo decreto, e Conte mi viene a parlare di una legge sull’omofobia, termine subdolamente coniato ad hoc per mascherare la nuova forma di dittatura ideologica del momento, ben foraggiata da fuori fior di miliardari e massoni. L’Italia è destinata a scomparire senza la famiglia (quella vera, fatta di maschio e femmina), mettiamocelo in testa! Se non abbiamo imparato dai nostri errori neanche in questa circostanza, che cos’altro deve accadere perché ci rinsaviamo?

  5. Gianpaolo Mazzuccato scrive:

    Sono letteralmente disgustato dell’attenzione data alla riapertura dei locali della ristorazione (in primis, di quelli che fanno parte del regno del nulla, ossia di aperitivi e movida) e alla ripresa del campionato di serie A. L’Italia, pur se allo stremo, pur se alla canna del gas, continua a sbagliare, a dare importanza all’effimero. Politiche industriali? Non pervenute. D’altronde, se siamo stati capaci di perdere la competitività del polo chimico e siderurgico e spostare la produzione dell’alta moda in Cina, qualche buco nella corteccia cerebrale dobbiamo averlo. Ha avuto ragione il neo presidente di Confindustria Bonomi quando ha detto che questo governo sta facendo più danni del Covid!

  6. Marianna Pontelli scrive:

    La confusione che impera nella fase due – ma che non è stata nascosta neanche nella fase uno- è enorme. Un Governo che non fa il Governo, presidenti di regione che tirano la giacchetta, gente che oggi dice bianco e domani nero: ma che Paese è?? E intanto le aziende arrancano. L’importante è pensare alla movida e al calcio. Riluttante.

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