Enrico Santoro compie gli anni. Nato a Isernia, si è laureato in Giurisprudenza ed è stato collaboratore di Giuseppe Padellaro presso la Cattedra di Diritto d’Autore dell’Università di Napoli.
Dirigente della Democrazia Cristiana dal 1955, divenne Consigliere Comunale di Isernia nel 1956, giovanissimo, e Assessore nel 1960. Sindaco di Isernia dal 1964 al 1970, fu uno dei più vivaci promotori dell’istituzione della Provincia
Consigliere regionale del Molise dal 1980, è stato Assessore al Turismo, Sport, Sicurezza Sociale, ai Lavori Pubblici, alla Sanità. È stato vice Presidente e Presidente della Regione Molise e, nel 1992, Presidente della Conferenza Stato-Regioni.
Enrico Santoro compie gli anni il 18 settembre, alla vigilia di un appuntamento elettorale la cui importanza è difficile da valutare.
Presidente, saranno elezioni importanti quanto tutte le altre?
«Forse di più. I risultati delle votazioni del 25 settembre prossimo definiranno, per forza di cose e finalmente, la situazione politica italiana. Da qualche tempo, si ha come l’impressione della mancanza dei partiti politici, sembra un momento completamente diverso da tutti quelli che abbiamo vissuto nel corso della nostra storia democratica. La presenza sempre più rilevante di piccoli gruppi associativi, che chissà da chi e chissà perché nascono, ha reso disordinato e poco comprensibile il quadro politico. Le elezioni del 25 settembre diraderanno la nebbia. Almeno un po’».
E il Molise?
«Mah… Osservo stupito. Io ho fatto politica e ho governato quando il Molise aveva 320mila abitanti, un sistema sanitario che le altre regioni ci invidiavano e l’emigrazione annullata per la prima volta nella storia del nostro territorio. Nessuno si allontanava più dalla sua famiglia per poter lavorare. Anzi, qualcuno tornava nei paesi d’origine del Molise per vivere qui il periodo della pensione. Una delle prime leggi regionali che portai all’approvazione del Consiglio dava ai molisani che tornavamo un contributo per ristrutturare le loro vecchie abitazioni. Oggi, gli abitanti del Molise sono 289mila, nella realtà molti di meno. Il sistema sanitario è diventato qualcosa che è persino difficile descrivere e commentare. Per quanto riguarda l’emigrazione, basta leggere “Altrove”, il libro appena uscito di Norberto Lombardi, per rendersi conto di dove sono e cosa fanno i giovani più brillanti della nostra terra. Dico queste cose con amarezza profonda. D’altronde c’è poco da sperare ancora. Le iscrizioni alle scuole di ogni ordine e grado sono diminuite dai 7.216 ragazzi del 2018/2019 ai 6.797 dell’anno scolastico appena iniziato. È questo il dato più sconfortante: 420 iscritti in meno. Sono 2.500 gli studenti venuti a mancare, nel totale, nel giro di quattro anni».
Forse accade questo perché anche il Molise ha subito la crisi che ha colpito l’economia mondiale negli ultimi decenni…
«Certo. Ma abbiamo anche perso occasioni importanti. Bastava tenere in vita, adattandole alle nuove esigenze della contemporaneità, il cinquanta per cento delle attività che eravamo riusciti a creare e a consolidare con un lavoro congiunto tra pubblico e privato. Bastava saper difendere creature ben riuscite come l’Ittierre di Pettoranello, che era arrivata a circa mille dipendenti, e la Sam di Bojano, che era riuscita a essere un punto di riferimento per tutta una serie di cooperative di allevatori e in questo modo coinvolgeva un numero enorme di lavoratori. Bastava difendere queste realtà e le numerose attività industriali e artigianali più piccole che erano nate nelle zone industriali che avevamo progettato e realizzato con i Piani di Insediamento Produttivo».
Sarebbe bastato?
«Non c’era soltanto questo. C’erano in atto progetti importanti. Non riesco a capire il perché, per esempio, sia stata abbandonata l’idea di collocare il Cnr a Pesche. Sarebbe stato un momento importantissimo della nostra storia culturale ed economica. Avremmo avuto anche noi un punto avanzato della ricerca nazionale e ciò avrebbe creato sviluppo ulteriore. Tenga conto, inoltre, che in Molise era arrivata da qualche anno l’Università. Un coordinamento virtuoso di tutti questi elementi, all’interno di un territorio relativamente piccolo e con sette milioni di persone che vivono nelle province immediatamente confinanti, tutto ciò avrebbe permesso sviluppo e benessere, occupazione e servizi di qualità. Bisognava crederci e lavorare seriamente».
Cosa è successo, allora?
«Vuol farlo dire a me nel giorno del mio compleanno? Non penso sia il caso ma prima o poi una riflessione e un’analisi seria su quanto accaduto andranno fatte. Subito dopo il Novanta, io mi sono allontanato dalla politica attiva e dai posti di governo. Il decadimento che c’è stato da quel momento in poi ha avuto sicuramente una causa importante nella crisi economica mondiale, che ha piegato la maggior parte delle economie, persino quelle che sembravano imbattibili. Tuttavia, una regione piccola come il Molise, puntando sulle cose che aveva realizzato fino a quel momento e sulla particolarità del territorio, poteva uscirne meglio. Poteva essere in condizioni migliori e provare a ripartire prima degli altri; trovarsi in una posizione di vantaggio persino quando ci lasceremo alle spalle la pandemia e la guerra in Ucraina».
Cosa deve sperare il Molise dal voto del 25 settembre prossimo?
«C’è poco da sperare. Già la riduzione del numero dei parlamentari ha fatto sì che la nostra regione perdesse due rappresentanti. Si eleggevano sei rappresentanti tra Camera e Senato. Ora ne avremo soltanto quattro e due di essi, con buona probabilità, non saranno molisani. Gli altri due – e chissà se almeno loro saranno nostri corregionali – avranno una responsabilità enorme nel riempire i vuoti che comunque si creeranno. I parlamentari del periodo in cui mi impegnavo attivamente in politica si riunivano continuamente con i rappresentanti politici locali e, inoltre, incontravano gli elettori almeno una volta alla settimana, prima di ripartire per Roma. Potrei raccontare tanti episodi per testimoniare il fatto che l’incontro tra il parlamentare in carica, di qualsiasi colore politico, e gli amministratori locali ha risolto problemi molto seri, soprattutto nel campo della viabilità. Raccontare l’iter seguito per ottenere le strade che oggi utilizziamo e quello non percorso per le strade che purtroppo non siamo riusciti ad avere testimonierebbe la necessità di avere parlamentari capaci di rappresentarci. In passato, il loro intervento è stato importantissimo per ogni traguardo che abbiamo raggiunto: dalla Provincia all’Università».
Cosa c’è di bello nel passato di un politico? Cosa vede di positivo se guarda indietro?
«Il fatto di rappresentare, avvicinare e frequentare Moro, presidente del Consiglio, Fanfani, presidente del Senato, e Pertini, presidente della Camera, nel momento in cui era in gioco la Provincia di Isernia, mi ha gratificato molto. Mi ha gratificato personalmente per l’ascolto che ho avuto, per la disponibilità che è stata mostrata nei miei confronti. Mi ha gratificato, però, soprattutto per quanto sono riuscito a ottenere a favore del territorio che rappresentavo. E questo non è stato l’unico caso in cui io e i miei colleghi di allora siamo riusciti a ottenere risultati importanti. Il Molise, per esempio, ha i maggiori centri urbani con le tangenziali, cose che si realizzano solo se si è capaci di dare scossoni alla burocrazia e di utilizzare al meglio gli incontri con chi decide. Il rispetto che la classe politica molisana del tempo, di ogni colore politico, aveva ottenuto a livello nazionale faceva sì che venissero accettati la richiesta e il progetto che da noi provenivano: eravamo sempre accolti e ci veniva dato il tempo e l’occasione di spiegare l’importanza delle cose che andavamo a proporre per il bene delle persone che rappresentavamo. Per l’Università, ad esempio, andai personalmente, con una delegazione del Consiglio regionale, dal capo del governo Andreotti. Chiesi di rivedere e firmare di nuovo il decreto dell’istituzione delle due ultime facoltà, aggiungendo al decreto istitutivo la frase “con sede in Isernia”. Grazie a questa qualità dei rapporti tra noi e i rappresentanti nazionali del governo, siamo riusciti ad avere l’Inps, e gli Uffici provinciali del lavoro, addirittura prima dell’Istituzione della Provincia. Oggi la Camera di Commercio di Isernia è stata trasferita a Campobasso, la sede del comando regionale dei Carabinieri del Molise in Abruzzo. La stessa sorte è toccata ad altri uffici importanti e, per certi versi, necessari».
Il dieci settembre del 1943, giorno del bombardamento di Isernia, lei stava per compiere gli anni, era un bambino…
«Ero andato a ritirare la frutta in una masseria. Ero davvero un bambino. Vidi arrivare gli aerei e non capii cosa stesse accadendo. Vidi cadere le bombe sulla stazione di Isernia. La mia casa era lì vicino. Buttai via la frutta che dovevo portare a casa e tornai in famiglia. Mio padre organizzò un posto di ricovero dei feriti nel dispensario antitubercolare lì vicino. Io facevo la spola dal dispensario a casa per portare acqua e lenzuola che servivano da bende per le ferite. Quando penso alla guerra, penso a quelle immagini che ho impresse nella memoria».
Si aspettava di rivivere una guerra in Europa, così vicina a noi?
«No. Nella maniera più assoluta perché la formazione attuale dei grandi organismi internazionali – l’Unione Europea, la Nato, l’Onu – sono così importanti ed efficienti, io almeno pensavo fossero così, da non poter immaginare che potesse accadere quanto è accaduto a febbraio di quest’anno. Tuttavia, l’Unione Europea è stata necessaria nella reazione. La presa di posizione comune nei confronti di Putin è stata importantissima. Nell’immediato dopoguerra, quando ero giovane, immaginavo, tuttavia, al di là della pace, anche una maggiore distribuzione della ricchezza sul Pianeta. Il fatto che a ottant’anni di distanza dalla Seconda Guerra Mondiale ci siano ancora nazioni, soprattutto in Asia e in Africa, in cui si muore di fame, letteralmente, non era nella mia immaginazione di allora e mi stupisce ancora oggi».
Torniamo al Molise. Cosa bisogna sperare da qui al 2050?
«In Molise è scoppiato il business della case di riposo per anziani. Meno male e niente in contrario. Ma questo è il segnale del fatto che non ci sono più le famiglie che prima assistevano in casa gli anziani. Gli anziani sono soli perché hanno figli e nipoti lontani per motivi di lavoro. Gli anziani ancora capaci di vivere indipendentemente stanno vendendo le loro case per trasferirsi dai figli, a Milano o all’estero, così da essere utili almeno come baby-sitter. Cosa si può prevedere per il futuro? Se vogliamo essere realisti, il futuro del Molise sarà la sua dissoluzione, il suo diluirsi in una delle regioni confinanti. E ciò avverrà per la nostra incapacità di trovare identità e una personalità propria attraverso il divenire una regione-laboratorio che avrebbe potuto anticipare ogni politica nazionale, persino la transizione ecologica. Questo per essere realisti. Se vogliamo invece continuare a sperare, l’unica speranza che abbiamo è il ritorno del trenta per cento di quei giovani che i molisani di oggi stanno mantenendo a loro spese in altre città del mondo. Dobbiamo sperare che tornino e che si sostituiscano alla classe dirigente – non parlo solo di quella politica – così da riportare qui le buone pratiche, gli esempi virtuosi che hanno visto e magari gestito all’estero. In questo modo potremmo assistere alla creazione della nostra identità, finalmente; una identità culturale ed economica che ancora non c’è e che potrebbe invece essere creata in questo modo. Solo questa potrebbe essere la nostra salvezza».
Cosa le piacerebbe vedere realizzato delle cose che ha immaginato da politico?
«Per me il sogno non avverato è il Cnr. Non vedere realizzato il centro di ricerca è una ferita ancora aperta. Immagini un migliaio di giovani venire qui a studiare. Per me è questo lo sviluppo: i giovani che vengono qui a conquistare il nostro territorio con la cultura. Io immaginavo e immagino la ricerca nel senso più ampio del termine… e il Molise che trova il suo ruolo in questo ambito. Solo in questo modo i giovani del Molise avrebbero la possibilità di essere pronti ad affrontare le cose nuove che arriveranno e che noi ancora non conosciamo, che noi non riusciamo nemmeno a immaginare. Pensi a cosa avremmo potuto fare in campo energetico, quanti anni abbiamo perso in questo settore. Avremmo potuto essere antesignani di chissà quale fonte energetica rinnovabile oppure sfruttare tutto ciò che abbiamo in maniera strutturata e coordinata. Ecco: un centro di ricerca, più centri di ricerca. Io punterei su questo. Il futuro potrebbe davvero essere nostro. Io ci credo».
Enrico Santoro compie gli anni e offre spunti nuovi di riflessione. Compie gli anni e offre speranze per i nostri figli che vivono lontani dal Molise o che si allontaneranno presto da noi. Offre spunti di riflessione persino ai candidati che si apprestano all’ultima settimana di campagna elettorale.
Auguri ai candidati, dunque, Auguri a noi.
E auguri a lei, presidente Santoro.

Giovanni Petta

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