L’Europa, economicamente in ripresa ma politicamente alle prese con il ritorno dei nazionalismi. E il Molise, la cui autonomia va difesa ma non nel senso ‘sterile’ del campanilismo. Naturalmente, le regionali: Iorio, l’ipotesi di candidatura di Pietracupa e il giudizio sul governo Frattura.
Aldo Patriciello, eurodeputato di Forza Italia, in questa intervista parla di tutto: di tutti i temi, cioè, più scottanti del dibattito politico.
Onorevole Patriciello siamo a dicembre, è tempo di bilanci. Che anno è stato per l’Europa dal punto di vista economico e politico?
«È stato senza dubbio un anno intenso, pieno di insidie ma anche ricco di opportunità. Il dato più incoraggiante, a mio avviso, è quello che riguarda la crescita economica del continente. Certamente la crisi ha lasciato dietro di sé enormi danni e grosse sacche di problematicità ma oggi l’Europa mostra quel dinamismo produttivo che sembrava assente fino all’anno scorso. Abbiamo imboccato la strada giusta, per dirla in modo semplice. Ora è importante proseguire su questo binario e intensificare gli sforzi a sostegno della crescita economica e dell’occupazione, specie quella giovanile. Un primo passo lo abbiamo già fatto con il prolungamento del Piano Juncker fino al 2020: un’operazione che dovrebbe mobilitare fino a 500 miliardi di euro».
Però nel frattempo la Gran Bretagna è uscita, l’emergenza migratoria non accenna a diminuire e la Polonia minaccia di seguire l’esempio di Londra. Non tutto rose e fiori, insomma.
«Ma l’Europa è sempre stata questa. Essere il luogo di sintesi dei vari contrasti è nel suo Dna. La Brexit è stata un duro colpo, su questo non ci piove. Eppure sono convinto che a perdere sia più Londra che Bruxelles. Pensare di reggere in solitudine la sfida competitiva in un mondo sempre più globalizzato è un atto estremamente rischioso. Sull’emergenza migratoria, poi, bisogna riconoscere il grande lavoro svolto dal Parlamento europeo per cambiare le regole di Dublino, ovvero di quella normativa che in tema di accoglienza e asilo penalizza fortemente l’Italia. La futura revisione obbligherà tutti i Paesi membri – e non solo l’Italia e la Grecia – ad accogliere una quota minima di migranti: occorre trasferire la solidarietà dal piano delle intenzioni a quello della realtà. Diversamente non saremo credibili agli occhi dei cittadini. Sulla Polonia, infine, il discorso è semplice: tutti i cittadini hanno diritto ad una sistema giudiziario libero ed indipendente dal potere politico. Difendere questo principio significa difendere la basi su cui si fonda l’Europa.
Resta il fatto che i populisti continuano a vedere l’Unione Europea come una inutile e costosa burocrazia che “ruba” sovranità ai governi nazionali.
In realtà è vero l’opposto. Mi spiego meglio: quello che ha un costo non è l’Europa ma la non-Europa. La mancanza di azioni comuni tra Stati membri – come ad esempio sul fronte migranti – si traduce in una perdita di efficienza stimata intorno ai 1.600 miliardi di euro, l’equivalente del Pil italiano. Il populismo euroscettico sbaglia semplicemente diagnosi e, spesso, anche la cura. Prenda il caso dell’uscita dall’euro: chi vuole tornare alla lira per svalutare e aumentare le esportazioni vive in un altro mondo. Guardi l’esempio della Grecia: pur sull’orlo del collasso economico si è guardata bene dall’abbandonare l’euro. E ora i conti tornano e la situazione economica è in netto miglioramento. La sovranità, poi, non è un concetto astratto. È ciò che ne fanno gli Stati».
Pare di capire che la sua è una posizione decisamente europeista.
«Lo è senza dubbio. Senza se e senza ma. E lo è non tanto perché sono parlamentare europeo ma perché credo fermamente che l’Unione Europea sia il più importante progetto politico della storia messo in piedi dagli Stati europei. Una scommessa fino ad ora vinta, sia chiaro: il muro di Berlino non è stato solo abbattuto dalla potenza militare americana ma anche e soprattutto dalla prosperità e dal modello di vita che la solidarietà europea avevano reso possibili. Ora tuttavia è necessario un cambiamento: una Ue a 27 non può diventare un’Assemblea in cui tutti hanno il potere di veto. L’Europa a più velocità in queste circostanze potrebbe essere molto più di un’opzione».
Su un piano più nazionale. Che Italia è quella che andrà al voto nel 2018? E soprattutto: chi vincerà secondo lei?
«È un Paese inquieto, sfiduciato da una parte eppure con una gran voglia di ripartire. Le colpe? Di tutti, della classe dirigente in generale, direi. Il problema è che spesso siamo occupati a gestire l’emergenza, ragionando solo sul breve periodo. Io credo invece che la cura giusta sia quella che incide sul lungo periodo, quella delle riforme strutturali: liberalizzazioni delle professioni, riforma del mercato del lavoro, deregolamentazione, riforma della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici locali, investimenti massicci in ricerca e sviluppo. Ecco, credo che a vincere sarà colui che riuscirà a raccontare meglio l’Italia dei prossimi dieci, quindici anni. Attenzione, però: senza un programma serio per il Mezzogiorno non si va da nessuna parte».
L’anno prossimo si vota anche in Molise. Negli ultimi mesi si è discusso molto circa la sua collocazione politica, per cui la domanda è d’obbligo: con chi si schiererà Patriciello?
«Guardi, uno dei principali problemi della nostra Regione sta tutto nella sua domanda».
In che senso, scusi?
«Nel senso che viviamo in un territorio con un tasso di spopolamento spaventoso, in cui i nostri giovani emigrano perché non trovano il lavoro che sognano o quello per cui hanno studiato. Una Regione a rischio estinzione, sui cui è stata lanciata un’Opa dalle altre Regioni limitrofe con l’intento di dividerla e frammentarla; in cui i distretti industriali faticano a trovare la via della crescita e dello sviluppo. Ecco, io credo siano questi i problemi su cui ci si dovrebbe concentrare e confrontare, non certo su Patriciello che, è bene ricordarlo, fa il parlamentare europeo. Fino a quando si parlerà di nomi e non di programmi si continuerà a fare il male di questa terra».
È la difesa dell’autonomia regionale la priorità per il Molise?
«È certamente una delle sfide principali della prossima legislatura. Anche qui, però, occorre giudizio e soprattutto occorre avere una visione chiara. Difendere l’autonomia del Molise non può essere solo un argomento campanilistico fine a se stesso. Dobbiamo saper immaginare – e quindi proporre – una nuova dimensione per la nostra Regione, più funzionale e moderna. Rendere interregionali, ad esempio, servizi importanti come la gestione delle acque, i trasporti, la scuola, la sanità. Non dobbiamo inventarci nulla, succede già in molte realtà territoriali».
Avere una Regione autonoma non significa necessariamente creare ricchezza e sviluppo. Che fare, dunque?
«Certo che no, ci mancherebbe altro. Ma significa avere una base solida per lavorare sul futuro. È chiaro che bisogna lavorare sodo per valorizzare al meglio il dinamismo presente sul territorio. C’è tutto un mondo che chiede di essere coinvolto e su cui bisogna scommettere: i giovani, gli artigiani, le imprese, il terzo settore, chiunque abbia la voglia e il tempo per mettersi in gioco e dare una mano».
Più facile a dirsi che a farsi, non crede?
«La nostra è una Regione sana, produttiva, piena di persone che si impegnano giorno dopo giorno in silenzio, lontane dai riflettori. Nelle ultime settimane sono stato nell’azienda Di Majo Norante, a Campomarino, per sostenere un progetto di turismo diffuso che, partendo dal basso Molise, può creare un indotto economico per l’intera regione. Ecco, l’intraprendenza e la passione di persone come Luigi Di Majo testimoniano quanto il Molise sia in grado di rigenerarsi e produrre innovazione. È necessario ripartire dalle idee, insomma. A cominciare dal futuro che immaginiamo per i nostri grandi centri, Isernia e Campobasso: città-ufficio che oggi faticano a costruire una loro nuova identità urbana. E poi le imprese, il lavoro: la crescita occupazionale deve essere il faro su cui orientare ogni azione politica. Su questi temi, ad esempio, ho letto cose interessanti sul manifesto dello sviluppo presentato dalla Uil Molise. Idee che mi sento di sottoscrivere e condividere per concretezza e pragmatismo».
Sì ma resta il nodo del toto candidato. È vero che lei avrebbe voluto candidare Pietracupa?
«Le ripeto: io non candido nessuno perché non spettano a me queste scelte. Mi limito ad esprimere il mio parere di semplice cittadino. Pietracupa sarebbe senza dubbio un buon candidato, sia per la sua storia personale e politica, sia per la stima di cui gode presso l’opinione pubblica e l’esperienza maturata negli anni passati alla guida dell’istituzione regionale. Esistono tuttavia valutazioni che vanno al di là delle singole preferenze e che devono mirare ad unire, più che a dividere».
A proposito di unire e di dividere, Iorio nei giorni scorsi è stato chiaro: «Non accetto veti da Patriciello», dice.
«Guardi, per formazione e cultura politica sono lontano anni luce dal ragionare in questi termini. In Parlamento europeo ho imparato tante cose, prima tra tutte il rispetto delle altrui posizioni, il senso civico dell’educazione politica. Non è da me porre veti di alcun genere, preferisco lavorare per aggregare, piuttosto. Le faccio un esempio: nelle elezioni regionali del 1995 fui il più votato della lista eppure fui ben felice di fare un passo indietro in giunta, per fare spazio ad un amico e consolidare così la tenuta politica di quella coalizione. Questo per dire che la politica non si fa né con i veti né con le imposizioni. Occorre ascoltare i cambiamenti e provare a governarli attraverso una visione nuova, prospettica. Diversamente si rischia di essere ostaggi delle proprie ambizioni. Bene sta facendo dunque il coordinatore regionale, Annaelsa Tartaglione, a lavorare per trovare una sintesi tra la varie anime che compongono il tavolo politico regionale».
Non possiamo salutarla senza chiederle un giudizio sul governatore uscente e sullo scenario regionale futuro.
«In generale non mi piace dare giudizi, tanto più alle porte di una campagna elettorale che si preannuncia dura e difficile. Ritengo che in questa fase ogni parola rischia di essere strumentalizzata in un senso o nell’altro. Più importante, a mio avviso, è essere consapevoli del fatto che la nostra Regione ha bisogno di unità d’intenti per superare le criticità esistenti. Bisogna avere la lucidità e il pragmatismo necessario per andare oltre gli schemi: il Molise ha bisogno di un’ampia convergenza che vada al di là dei vecchi steccati ideologici. Occorre dunque lavorare fianco a fianco e mettere da parte ogni tipo di egoismo e personalismo: solo così sarà possibile creare condizioni stabili e durature di crescita e sviluppo per tutti».

ppm

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