Lunedì pomeriggio il vertice di maggioranza. Nella sala Parlamentino di Palazzo Vitale, ampia abbastanza per garantire un deciso distanziamento sociale e fisico.
Non che si temano scontri ravvicinati, la settimana di consultazioni del governatore Donato Toma è servita smussare angoli e creare le condizioni per cui le decisioni non saranno un fulmine a ciel sereno. Comunque, conferma il presidente, arriveranno dopo il voto in Aula sulla mozione di sfiducia presentata da Pd e 5 Stelle previsto per martedì. «Io non ragiono in termini di do ut des», spiega Toma.
Sulla sua scrivania, due documenti: nel primo le richieste di revoca della nomina dell’assessore esterno in quota Lega (Michele Marone) e di attribuire deleghe ai consiglieri. In calce, 11 firme, quelle cioè di tutti gli esponenti di maggioranza. Ne mancano tre, invece, al secondo documento (Mena Calenda e i due assessori azzurri Nicola Cavaliere e Roberto Di Baggio mentre invece D’Egidio ha firmato anche se, pare, confidando sull’assicurazione che avrebbero firmato tutti). I contenuti di massima del testo: Aida Romagnuolo al posto di Marone in giunta, Pallante assessore e uno dei due forzisti ‘retrocesso’ a sottosegretario (anche se l’incarico in termini di peso politico non è da meno). Queste le misure chieste da subito dagli otto esponenti di maggioranza che hanno firmato il nuovo organigramma. A novembre, poi, nuova staffetta: al vertice di Palazzo D’Aimmo Quintino Pallante e nell’esecutivo approda Salvatore Micone. A meno che siano i diretti interessati a decidere che stanno bene così.
I nodi sono tutti evidenti. A parte il nuovo scontro che si aprirebbe con la Lega nazionale – ma Toma avrebbe a supporto un pronunciamento della maggioranza pronta a mettere in discussione l’intera legislatura – scoppierebbe una grana con Forza Italia.
Intanto, la mancata unanimità ha prodotto la situazione per cui la coalizione di fatto si è rivolta a Toma come ‘arbitro’. In particolare, a lui si sono rimessi gli azzurri. Sia gli eletti – qualche giorno fa – sia il partito. La coordinatrice regionale Annaelsa Tartaglione spiega che prima del voto sulla sfiducia e quindi sulla soluzione del rebus da parte di Toma preferisce non rilasciare dichiarazioni, per evitare di dare l’impressione di voler fare ingerenza, invasione di campo.
Ma è chiaro che le chiacchierate di questi giorni fra gli esponenti del centrodestra che è tornato al governo della Regione nel 2018 qualche impressione l’hanno lasciata anche alla stampa.
«A decidere sarà il presidente», dicono gli azzurri – lo sottolinea pure Tartaglione – per spiegare che si sono rimessi alle sue valutazioni e intendendo che non faranno barricate immediate in caso dovessero perdere un assessorato. Però il banco di prova, oggi come fra qualche mese, sarà rappresentato dai numeri. A novembre, la rielezione dell’ufficio di presidenza del Consiglio. C’è un accordo, ricordano autorevoli esponenti della maggioranza, per la staffetta fra Udc e Fratelli d’Italia. Ma il voto è segreto. E se il polo civico di oggi, sei consiglieri che hanno alzato l’asticella e interpretato il ruolo dei ribelli, cambiasse gli aderenti? Iorio è ormai in minoranza, se i tre che non hanno firmato il documento sul riassetto mantengono il dissenso chi può dire come finirà il giro di boa? Insomma, Toma e i suoi sarebbero punto e a capo.
Scenari futuristi? Potrebbe certamente essere così. Scenari che farebbero gola alle minoranze che, a meno di sorprese, si avviano a discutere una sfiducia su cui però saranno battuti.
«La mozione – commenta Toma sul punto – sarà utile alla minoranza per parlare e utile alla maggioranza per rispondere». Ai suoi in questi giorni di colloquio ha detto come la pensa, oltre ad ascoltarli. «Ci sono delle cose che mi hanno sottoposto e che ho valutato positivamente», aggiunge solo.
La riunione di lunedì pomeriggio potrà dare qualche dettaglio concreto in più.

ritai

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