Negli ultimi 15 anni sempre più giovani del Sud scelgono università al Nord o all’estero. All’origine del fenomeno, dice la Svimez, c’è la cronica debolezza della domanda di lavoro meridionale.
In pratica si ‘emigra’ prima, a partire dall’università, per avvicinarsi a mercati del lavoro ritenuti maggiormente in grado di assorbire capitale umano ad alta formazione.
La nota dell’associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno anticipa i dati dello studio di F. Colella “Analisi di impatto locale dell’emigrazione studentesca” in fase di predisposizione per la Rivista Economica del Mezzogiorno, edita dalla Svimez.
È basata su dati del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), distingue la popolazione studentesca (gli iscritti all’anno accademico 2016-2017) per regione di residenza e ateneo frequentato e va a stimare l’impatto complessivo sul Pil nel Mezzogiorno della spesa pubblica privata che si trasferisce dal Sud al Nord per effetto della migrazione universitaria.
Nell’anno accademico 2016/2017, i meridionali iscritti all’Università sono complessivamente 685mila circa, di questi il 25,6%, pari a 175mila unità, studia in un ateneo del Centro-Nord. La quota, invece, di giovani residenti nelle regioni del Centro-Nord che frequenta un’Università del Mezzogiorno è appena dell’1,9%, pari a 18mila studenti.
Nello stesso anno accademico in tutte le università del Sud risultavano iscritti 509.000 studenti. Il movimento “migratorio” per fini di studio ha interessato, quindi, circa il 30% dell’intera popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali. Gli studenti “emigrati” per motivi di studio rappresentano, inoltre, circa lo 0,7% della popolazione residente meridionale.
Le regioni meridionali che si caratterizzano per i maggiori flussi in uscita in termini assoluti sono la Sicilia e la Puglia, con oltre 40 mila giovani che studiano al Nord, mentre in termini di percentuale su totale degli iscritti, i tassi migratori universitari più elevati riguardano le regioni più piccole del Sud, Basilicata e Molise con oltre il 40%, la Puglia e la Calabria con il 32% circa e la Sicilia con il 27%.
I molisani iscritti all’università sono 11.422: 4.815 (42,2%) al Nord, 6.607 al Sud.
Svimez ha stimato anche l’impatto economico del trasferimento di 157mila studenti meridionali al Nord in termini impatto negativo derivante dai minori costi sostenuti dagli atenei del Sud, a causa dall’emigrazione studentesca. «Lo spostamento degli studenti causa una riduzione dei costi sostenuti dagli atenei per i diversi corsi di studio (costi docenti, costi servizi didattici, costi delle infrastrutture). Per quantificare queste risorse – spiega il direttore di Svimez Luca Bianchi – è stato preso in considerazione il parametro del costo standard, alla base dei criteri utilizzati dal Miur per finanziare le istituzioni universitarie. La cifra stimata è di circa un miliardo annuo di minore spesa della Pa nel Mezzogiorno dovuta alla iscrizione fuori circoscrizione di 153mila studenti meridionali».
E quanto spendono (alloggi, forniture, trasporti, sanità, comunicazioni) i giovani del Sud che studiano al Centro-Nord: si va dal valore di 4.700 euro annuo di chi studia a Milano ai 1.700 euro di Cassino e Vercelli. Il valore complessivo dei consumi privati che, per effetto della migrazione universitaria, viene trasferito dal Sud al Nord è di circa 2 miliardi.
L’emigrazione studentesca causa, dunque, in termini di impatto finanziario una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi di euro.
Tutto considerato, nel 2017 il reddito aggregato meridionale è risultato inferiore di circa 0,4 punti percentuali a quello che si sarebbe avuto trattenendo sul territorio i 153mila studenti emigrati.

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