La riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm del ministro Cartabia rappresenta «un vero e proprio vulnus all’indipendenza e all’autonomia della magistratura». Per questo la sezione molisana dell’Anm esprime «profondo dissenso» rispetto alle norme che la Camera dei deputati ha approvato tre giorni fa. Ora il disegno di legge delega è atteso al Senato.
Un disegno di legge, spiega una nota a firma del presidente della sezione distrettuale dell’associazione nazionale magistrati Michele Russo e del segretario Nicola D’Angelo, che, «sotto plurimi profili» è in contrasto con i principi costituzionali di indipendenza e autonomia.
Nel merito, analizza l’Anm, la nuova disciplina delle valutazioni di professionalità, «con il rilievo preponderante attribuito all’esito dei provvedimenti nelle fasi e gradi successivi nonché al rendimento “quantitativo” del magistrato e con la previsione di uno specifico giudizio di valore sulla capacità organizzativa sganciato dall’individuazione di criteri precisi e oggettivi, rischia di ingabbiare l’attività del magistrato, determinando l’appiattimento delle decisioni sulla scia degli orientamenti del giudice dell’impugnazione e l’omologazione dell’organizzazione del lavoro alla volontà, se non all’arbitrio, del capo dell’ufficio».
Inoltre, prosegue l’Anm, «la drastica limitazione della possibilità di passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa produrrà, fatalmente, l’effetto di separare, di fatto, la magistratura giudicante da quella requirente, sottraendo quest’ultima dall’alveo della comune cultura della giurisdizione, la quale costituisce la principale garanzia del corretto esercizio della funzione requirente in vista del raggiungimento della verità piuttosto che del raggiungimento della vittoria processuale».
E, ancora, la scelta «di non introdurre criteri precisi e vincolanti per determinare su base nazionale, in modo rigoroso e oggettivo, i carichi esigibili, di fatto affidandoli, invece, alla discrezionalità dei capi degli uffici solo apparentemente temperata da non meglio precisate indicazioni dell’organo di autogoverno e l’aumento dei poteri della Scuola Superiore della Magistratura nella selezione dei dirigenti realizzano, poi, la chiusura del cerchio, da un lato suggellando la definitiva subordinazione di giudici e sostituti ai capi degli uffici, dall’altro trasferendo all’esterno del Consiglio Superiore della Magistratura l’individuazione dei dirigenti degli uffici, con il pericolo concreto che la direzione e l’organizzazione degli uffici – e quindi lo stesso esercizio della giurisdizione – subiscano condizionamenti e interferenze che il legislatore costituente aveva voluto evitare attraverso il sistema dell’autogoverno».
All’unanimità, quindi, la sezione distrettuale dell’Anm esprime «profondo dissenso» rispetto alla riforma e sollecita «la riflessione dell’Avvocatura e della società civile tutta sull’interesse comune a un esercizio efficace ed efficiente della giurisdizione, che per essere tale deve essere prima di tutto indipendente e imparziale, se è vero che non può esserci processo senza un giudice “indipendente” e “imparziale”».

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