Oggi deputato, Antonio Federico è stato il primo candidato governatore dei 5s in Molise. E adesso, in attesa della costituzione del coordinamento, a trattare col Pd per le regionali del 2023 è il capogruppo Greco?
«Mi sembra anche naturale che i gruppi di Pd e 5s, che stanno lavorando insieme in Consiglio da quattro anni, si confrontino e scrivano un perimetro di temi e argomenti. Parlano la stessa lingua, hanno portato avanti le stesse battaglie in Regione, è normale che siano loro i primi a rendersi conto che c’è uno spazio importante per potersi presentare insieme».
Poi però bisogna costruire, serve la legittimazione a prendere impegni. Quando e come chiuderete la partita del coordinatore regionale del Movimento?
«Certo, noi non abbiamo la segreteria o una delegazione trattante formalmente individuata come il Pd. Non abbiamo corpi intermedi, se così possiamo definirli, che possano mettersi a parlare con pari dignità con chi ha già un mandato chiaro all’interno degli altri partiti. Spero che il coordinamento venga individuato prima possibile. È una partita che si poteva chiudere anche qualche mese fa. Credo che a questo punto aspetteremo il termine delle amministrative, Conte ora è in giro per l’Italia. Come lo nomineremo, lei mi chiede. Non posso conoscere le modalità ora, ma immagino che ci sarà un passaggio con gli iscritti. Che sia una mera ratifica o una scelta tra una rosa di nomi non lo so. Però sicuramente saranno coinvolti gli iscritti».
Al di là del coordinamento, chi decide alleanze e candidato presidente? Il territorio, come Conte ha assicurato anche a Greco, o Roma dirà la parola decisiva?
«È indubbio che le scelte del territorio le fa il territorio. È anche chiaro però che non ci possono essere scelte scoordinate tra di loro. Si cerca di avere un percorso più o meno coerente in tutta Italia, per questo Roma ha uno sguardo su quello che succede. Per le amministrative di giugno, per esempio, in alcuni posti non siamo presenti alle elezioni o andiamo da soli, in altri ci siamo candidati con la sinistra ma non col Pd oppure siamo alleati dei dem. Sul territorio, quindi, si valutano le condizioni e poi si condivide con il nazionale per avere una coerenza politica rispetto allo spazio in cui muoversi. Ma questo non vuol dire che Roma si mette a dire: la Lombardia a Tizio, il Molise a Caio. Altrimenti faremmo la fine degli altri».
In Molise ci sono le condizioni per un’alleanza col Pd?
«Assolutamente. Anche per questo le dicevo che trovo naturale il confronto fra i gruppi in Regione».
E con chi altro?
«Sicuramente con coloro che hanno sostenuto il governo Conte 2, ma non con quelli che lo hanno fatto cadere (Italia viva, ndr). Quindi Articolo 1, Leu e tutta la rete della sinistra. Poi c’è l’area del civismo, dei sindaci, che sono molto in fermento. Io sono in contatto con tanti di loro per le attività che porto avanti in Parlamento, dal sisma ai fondi del Pnrr, e da loro viene fuori l’esigenza di una maggiore incisività e di un maggiore ascolto a livello regionale. Con quel mondo credo che bisogna parlare».
I moderati non li considera?
«In Molise non è che ci siano estremismi…. Però certo c’è un’area di moderati alla quale guardare e con cui dialogare per capire se si può fare un percorso insieme, sempre restando in un perimetro politico che va definito in primis dai due protagonisti di questa coalizione che sono i 5 Stelle e il Pd. Non ad excludendum, ma in maniera inclusiva. Dobbiamo costruire un orizzonte politico in modo che, per esempio, chi in giunta ha votato la legge di bilancio di Toma non si avvicinerà proprio perché sa che non c’è spazio. Senza mettersi a fare nomi: tu sì, tu no. Le liste di proscrizione per me non servono, serve avere un’idea chiara».
C’è gran fermento anche fra i movimenti civici, che rappresentano però un mondo variegato. A chi aprire la porta del campo largo?
«È sempre positivo che ci sia “agitazione democratica”, senza andare a mettere etichette. Ripeto, se si definiscono bene i temi e l’orizzonte politico di questa coalizione viene naturale invertire il paradigma: non con chi vai a parlare tu, ma chi viene a ragionare con te».
Allora diamolo, qualche tema.
«Sanità, vale a dire sanità pubblica. E un rapporto diverso tra amministratori comunali e Ministero. Qualche settimana fa abbiamo tenuto anche un secondo incontro fra sindaci e Programmazione sanitaria. Dobbiamo superare l’intermediazione della struttura commissariale e del tavolo di monitoraggio, visti come qualcosa di negativo e oppressivo. Si tratta di cambiare approccio, scegliendo non quello di chi sta elemosinando, c’è una dignità di Regione da mantenere, ma neanche quello di chi dice: siamo piccoli e ci dovete tutelare. Un nuovo approccio che non si può avere se si è conservatori. Un conservatore, inteso anche come doroteo, non può avere spazio nella nostra coalizione».
Greco sostiene che Massimo Romano ha ancora tanto da dire e lo vede bene nella vostra coalizione. Lei che ne pensa?
«Penso che ci sono tanti attori politici che si sono distinti in questi anni per battaglie peculiari e che hanno ancora tanto da dire. Ripeto, non sono io a giudicare. Va disegnato un confine all’interno del quale prima delle persone si mettono al centro i temi. Allora possiamo parlare con chiunque, tutti hanno pari dignità di interlocuzione. Non metto veti in questo senso».
Il leader della coalizione?
«È chiaro che si tratterà di individuare la persona che può incarnare al meglio l’orizzonte che si sarà nel frattempo costruito e tenere insieme l’alleanza. Non è sempre un’operazione semplice, è facile sbagliare, cadere nei discorsi “questo tocca a me, questo a te”. Noi dobbiamo fare un ragionamento diverso. Con che metodo non lo so. Guardo alla Sicilia (si vota in autunno per le regionali, ndr) dove si stanno affacciando tante prospettive, in queste ultime ore si parlava di primarie di coalizione. Vediamo come va. Magari in Sicilia si riesce a trovare un metodo efficace, che può essere replicato pure in Molise, in Lombardia, nel Lazio».
Visioni diverse fra lei e Greco, pare. Anche sul coordinamento la sfida, o meglio la battaglia, emerge.
«Io credo invece che sia più un discorso di approcci che di visioni. Le spaccature, le divisioni hanno creato grossi problemi in passato e continuano a farlo ancora. Basta guardare al caso di Dino Giarrusso (parlamentare europeo che ha lasciato M5s per fondare un suo movimento, ndr). L’ego non porta da nessuna parte. Il nuovo corso con Giuseppe Conte vuole essere un corso inclusivo, aperto, dialogante con tutti. Ma non un percorso in cui si chiedono consolidamenti di posizioni per partito preso. Non è quel che si deve fare e so che in Molise non c’è questo problema. Con Andrea, Roberto, Patrizia io parlo quotidianamente e non c’è nessun tipo di rivalità e di distanza».
Regionali 2023, che ruolo avrà Antonio Federico?
«Io voglio mettermi a disposizione per facilitare il percorso. Ho buoni rapporti col Pd nazionale, ci lavoro da tempo, ho buoni rapporti col Pd locale, con esponenti di partiti minori della sinistra storica molisana, con i sindaci. Che io debba avere un ruolo da protagonista o meno lo vedremo più in là. Ma sicuramente voglio aiutare la costruzione della coalizione perché il Molise deve riscattarsi da cinque anni di centrodestra».
Muratore del campo largo?
«Diciamola così…».
Per ora.

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