Elisa Claps era sparita nel nulla da poche ore, qualche giorno appena forse. Al liceo classico di Potenza, amiche e compagne fecero attivare un numero telefonico per dare informazioni. Il preside mise fine subito all’iniziativa: ma suvvia… sono storie di ragazze che alzano un po’ più la gonna.
Perfino dentro vicende umane così terribili è possibile distinguere una gradazione del dolore, della cattiveria, della sciatteria. La frase del dirigente scolastico è probabilmente uno degli episodi più crudeli. E descrive il clima culturale in cui maturò uno dei primi femminicidi in Italia, il 12 settembre 1993. A riferirla, nell’aula magna d’ateneo a Campobasso, il fratello di Elisa, Gildo. Ad ascoltarla 300 studenti delle superiori del Molise (di Venafro, Isernia, Campobasso e Termoli) nell’incontro organizzato dalle Consulte provinciali e dall’Usr. «Questo omicidio è anche frutto di una cornice culturale molto precisa, che discrimina le donne e le mette in una condizione di soggiacenza, di inferiorità. Per cui anche un omicidio grave come quello che si poteva, volendo, risolvere in due giorni non si è risolto perché c’è questa idea di inferiorità della condizione femminile che è pervicace e pervasiva – ha messo in evidenza la direttrice dell’Ufficio scolastico Maria Chimisso – Bisogna che ai ragazzi questo messaggio sia ben chiaro, loro sono interpreti di un modo diverso di concepire il diritto pieno della realizzazione della persona».
Sono stati loro, come tanti altri coetanei in Italia da qualche anno a questa parte, a volere l’incontro con la famiglia Claps. Per mamma Filomena, per papà Antonio, i fratelli Gildo e Luciano la verità fu subito evidente. L’ultimo a vedere viva la 16enne era stato Danilo Restivo, figlio del direttore della Biblioteca nazionale (anni dopo condannato anche per l’omicidio di una vicina di casa in Inghilterra dove era di fatto fuggito). «Noi l’abbiamo detto subito che l’autore dell’omicidio era lui». Arrivare alla verità, quella giudiziaria almeno, è costato anni, una fatica enorme come enorme è stata la forza non scalfibile di una famiglia retta che ha dovuto combattere anche omertà e depistaggi. «Oltre all’amore per Elisa, per noi è stata proprio la ricerca della verità che ci ha accompagnato in tutti questi anni nonostante i mille ostacoli che sono stati frapposti al raggiungimento di questa verità». Sul filo dei ricordi, la voce di Gildo Claps ancora si incrina, si ferma anche se per pochissimo e riparte. «Sicuramente quello che ci ha fatto più male è stata la percezione della volontà di deviarci dalla verità da parte di tutta una serie di attori, investigatori ma non solo, mi riferisco anche ad alcune frange del clero potentino che in qualche modo hanno impedito che si arrivasse al ritrovamento di Elisa. Ci sono tanti anche ancora dovrebbero fare i conti con questa storia».
Il corpo della ragazza era nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità a Potenza, neanche poi tanto occultato. Scoperto per caso, da operai a cui erano stati commissionati lavori non più rinviabili, 17 anni dopo il delitto. E chi sapeva ha fatto di tutto per impedirne il ritrovamento.
Un femminicidio, quando questo termine era di là da venire. «Un momento storico in cui non esisteva il reato di stalking, in cui non si parlava assolutamente di femminicidio ma in realtà Danilo Restivo era esattamente uno stalker, i segnali c’erano tutti – dal suo feticismo rispetto alle aggressioni in cui tagliava capelli alle ragazze sugli autobus ad altri episodi che lo avevano visto protagonista – Non c’era oltre 30 anni fa la sensibilità che mi auguro ci sia oggi rispetto alla capacità di cogliere alcuni segnali che sono di allarme. Negli ultimi due anni ho girato tantissimo questo Paese raccogliendo gli inviti delle scuole e delle università perché ritengo che non sia mai abbastanza parlare di questo tema».
La fatica di Gildo è stata ripagata anche a Campobasso. Domande, curiosità, lacrime. Molti dei ragazzi hanno visto la serie Rai “Per Elisa”. Prima, il podcast di Pablo Trincia “Dove nessuno guarda” e la serie Sky hanno portato questa storia orribile nella vita di chi è nato 15 anni dopo il caso Claps. La potenza dei nuovi media nel recuperare memoria lega bene con iniziative come quella di ieri. L’aula magna di Unimol colorata di giovani ansiosi di sapere. In un luogo di cultura e formazione che è soprattutto casa loro.
rita iacobucci