«Ho fatto un mare di sciocchezze e non ripeterei l’esperienza della lotta armata, ma prima di giudicare bisogna considerare il contesto, il clima degli anni ‘70». In un’intervista del 2013 a Giacomo Amadori si definisce cambiato: «Qui sono persino diventato un padrone».
Qui è Parigi, dove Maurizio Di Marzio è tuttora irreperibile. Unico latitante dei 10 terroristi italiani – alcuni fermati come l’altro molisano Enzo Calvitti e altri si sono costituiti – per cui la Francia ha concesso l’estradizione.
Di Marzio è nato a Trivento 63 anni fa, ha sempre vissuto a Roma ma in paese c’è ancora la casa di famiglia. E ancora in molti ricordano il suo matrimonio al confine. In Italia a sposarsi non poteva tornare. Con la moglie l’ex Br ha un ristorante vicino alla Bastiglia, “Taverna Baraonda”, che vende anche prodotti made in Italy molto apprezzati. Su Tripadvisor i clienti lasciano recensioni positive: «Proprietari italiani gentilissimi», «offrono cucina italiana impeccabile». La foto a colori in questo articolo è presa dal profilo Fb di un Maurizio Di Marzio che condivide iniziative del ristorante Baraonda. Pochissime le informazioni, la certezza quindi non c’è. Ma sembra essere proprio il Maurizio Di Marzio ‘giusto’.
Non ho mai ucciso, diceva ancora in quella intervista di otto anni fa, al contrario di «pentiti come Savasta, Segio, Peci che mettevano le tacche sulle pistole». Ha scontato sei anni di carcere, gliene restano cinque per banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona e rapina.
Il suo nome nei precedenti di polizia è legato prevalentemente al tentato sequestro del vicecapo della Digos di Roma Nicola Simone (poi decorato con medaglia d’oro al valor civile) il 6 gennaio 1982. Un brigatista vestito da postino bussa intorno alle 15 a casa di Simone, il poliziotto guarda dallo spioncino e apre con la 38 special in pugno. Sul pianerottolo altri componenti del commando cercano di immobilizzarlo. Simone fa fuoco ferendo uno dei due e cade a terra, colpito a sua volta. Dieci giorni dopo, gli investigatori individuarono a Marino una villetta che doveva essere la prigione del popolo, come via Montalcini per Moro: all’interno una tenda canadese, una branda, catene, lucchetti, armi, munizioni, targhe e documenti.
Di Marzio lo presero nell’agosto del ’94 in Francia, sempre su richiesta dell’Italia. L’anno dopo
la Corte d’Appello espresse parere favorevole all’estradizione. Ma il decreto governativo non fu mai firmato e lui tornò libero. Negli anni successivi si è sposato e ha avuto un figlio, ha aperto il ristorante Baraonda e ha partecipato a diverse iniziative in favore dei rifugiati in Francia.
Se riuscirà a sfuggire all’arresto per altri dieci giorni, eviterà per sempre il carcere. Il 10 maggio infatti scatterà la prescrizione sulla condanna.

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