Da seconda città più popolosa del Molise – ancora non esisteva l’autonomia regionale – a centro che vive un inesorabile spopolamento. Nel 1871 Agnone contava 11.865 abitanti, dietro solo a Campobasso che all’epoca registrava all’anagrafe 14.331 residenti, mentre Isernia e Termoli contavano rispettivamente 9.193 e 3.172. Per l’Atene del Sannio il declino inizia dopo la Seconda guerra mondiale, quando nel 1951 si passa a 9.664, un gradino dietro Isernia (11.133), che 19 anni più tardi diventerà Provincia con poco più di 15mila abitanti. Proprio tra il 1951 e il 1971 la capitale dell’alto Molise fa rilevare un saldo negativo pari a -2.915 con 6.749 residenti, che si acuirà in maniera drammatica nelle successive stagioni.
La discesa vertiginosa prosegue passando per gli anni ’80 e ’90, quando, malgrado tutto, Agnone si mantiene sulle 6mila anime. Nel ventennio 2001 – 2021 l’inarrestabile crollo che porta il paese delle campane da 5.842 a 4731 cittadini, quelli censiti dall’ultimo rilevamento. Si tratta, dunque, del peggiore dato della storia della cittadina che in settant’anni – dal 1951 al 2021 – ha perso qualcosa come 4.933 abitanti, pari a -51,05%. Tra le maggiori cause l’indice di denatalità. Se infatti si prendono in esame i nati del 1951 si scopre che in quell’anno furono 208, appena 40 nel 2010, anno in cui fu chiuso il Punto nascita dell’ospedale San Francesco Caracciolo. Non solo denatalità alla base del tracollo. Difatti il maggiore dei problemi resta la mancanza di posti di lavoro con tutte le immaginabili ripercussioni. La dimostrazione evidente è rappresentata dall’ospedale cittadino, prima fabbrica del territorio. Se si riavvolge il nastro a venti anni fa si parla di una forza lavoro di 330 unità, oggi, con soppressione ai reparti e tagli al personale, si annotano poco più di 110 occupati. Nel corso degli anni anche la politica ha messo il suo carico con scelte sciagurate che di fatto hanno incentivato l’esodo. Tra tutte la carenza di politiche sociali, tagli ai servizi, infrastrutture inesistenti, per non parlare della disastrata viabilità che ha toccato il punto più basso con la chiusura del viadotto ‘Sente – Longo’ e il dirottamento dei 40 milioni di euro della ‘Fresilia’ verso altri lidi. Tuttavia il vero peccato originale, manco a dirlo, resta la mancata applicazione della Legge sulla Montagna, in realtà mai finanziata, nonché la famigerata fiscalità di vantaggio con la quale nessuno intende “sporcarsi” le mani. In entrambi i casi antidoti all’emigrazione dimenticati in qualche cassetto di Palazzo. Continua così il fuggi fuggi verso città e soprattutto la costa che, ad esempio, vede San Salvo, 66 chilometri di distanza da Agnone, annotare una crescita demografica record negli ultimi settant’anni. Come riporta il sito chiaroquotidiano.it la città adriatica è passata da 4.243 abitanti (1951) ai 20.107 attuali, pari ad un +358% impressionante. In questa situazione si torna al primo dei problemi, ovvero il lavoro. Da paese prettamente agricolo, nei primi anni Sessanta San Salvo diventa un simbolo dell’industrializzazione dell’Italia con la nascita di Siv, Magneti Marelli e tante altre aziende tra cui la multinazionale Amazon, che attirano manodopera dai centri limitrofi. L’analisi sullo spopolamento naturalmente non risparmia quanto accade in tutti i paesi altomolisani e dell’entroterra Vastese. Basta citare Capracotta che nel 1951 contava su 3.628 abitanti, mentre oggi ha meno di 900, o peggio ancora Schiavi di Abruzzo che in 70 anni ha perso l’84,22% della popolazione (pari a 3.748 residenti in meno), passata da 4450 a sole 702 unità. Numeri che fanno rabbrividire e più volte denunciati dal direttore della Caritas diocesana di Trivento, don Alberto Conti, ormai rimasto come Giovanni il Battista a predicare nel deserto. Citazione mai così calzante…

Foto Falcioni

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