«Sarò il difensore della verità: a questo tenderà la mia indagine». Così il vescovo della diocesi di Isernia, monsignor Camillo Cibotti, rompe il silenzio in merito alla vicenda dei presunti abusi perpetrati 17 anni fa ai danni di un ragazzo straniero, da un sacerdote che opera tuttora in un centro della provincia pentra.
Dopo il clamore mediatico suscitato dalla denuncia pubblica di quello che ormai è un uomo e dopo l’esposto depositato in Procura dal suo avvocato, il vertice della Curia isernina ha voluto dire la sua su una storia che sta provocando sofferenza a tutti i livelli.
Nell’intervista rilasciata in esclusiva a Primo Piano Molise, Cibotti sgombra il campo dal suo presunto immobilismo e spiega che sin dall’arrivo della segnalazione, ovvero circa un mese prima di Natale, ha avviato le verifiche del caso.
«Si sta procedendo a quella che noi chiamiamo ‘indagine previa’ – ha spiegato -. Un giudice istruttore sta lavorando, in ambito riservato e segreto. Visto il parere più che positivo rivolto a questa persona ritengo che non sia una contraddizione poter dare a lui la possibilità di continuare il suo ministero, come ha fatto da quando è in questa realtà. Io come vescovo devo fidarmi dei miei preti. Lungi però da me essere assolutorio. Io devo avere la possibilità di indagare e di cercare la verità. Il giudice istruttore del tribunale ecclesiastico avrà l’occasione di compiere le sue indagini, sentire i testimoni e verificare. Sicuramente verrà chiamata anche la presunta vittima nei tempi che il tribunale ecclesiastico ritiene necessari. Trovo ingiusto accusare il vescovo di non aver fatto nulla. Io certamente non metto in piazza il nostro ‘modus agendi’. Noi con coscienza cerchiamo la verità».
Il vescovo non dimentica la presunta vittima: «Sicuramente il ragazzo porterà in sé una sofferenza – ha proseguito -, perché se davvero, come dichiara, è stato abusato dall’inizio sarò il primo a chiedergli perdono e a trovargli forme di sostegno. Altrimenti gli chiedo di non far soffrire chi gli ha fatto bene».
Nelle parole di monsignor Cibotti poi anche i tratti salienti della storia che ha visto il prete e il ragazzo venuto da lontano, coabitare nella stessa comunità.
«La famiglia del ragazzo lo ha affidato a questo sacerdote e lui lo ha portato in Italia come gesto di carità, per dargli una possibilità – ha detto ancora – . Anche quando il parroco non aveva soldi pensava a lui. Io non ho il compito di difendere il sacerdote ma di difendere la verità sì. Le autorità indagheranno e anch’io farò lo stesso».
Una vicenda che è stata portata a conoscenza di tutta la diocesi sin dallo scorso mese di novembre, cioè da quando il vescovo, leggendo attentamente la lettera dell’avvocato Cavaliere, ha ritenuto di avviare gli accertamenti, ascoltando inizialmente le altre persone tirate in ballo e cioè ecclesiastici in ‘servizio’ nelle parrocchie della diocesi.
«Mi sono informato subito, proprio perché ritengo queste persone degne di credibilità – ha dichiarato a Primo Piano -. Ho chiesto a loro cosa fosse successo negli anni in cui non ero in questa realtà e, dalla loro versione, ho capito che la storia è molto più articolata rispetto a come è stata rappresentata. Il gesto di questo sacerdote che viene accusato era di accoglienza verso una situazione difficile della famiglia del ragazzo.
Red. Is.

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