È stata la relazione del prof Nicandro Buccieri a spingere la procura di Potenza a richiedere ai suoi periti una seconda consulenza sulla morte del giornalista e blogger Antonio Nicastro, stroncato il 2 aprile 2020 dal Covid dopo aver chiesto per settimane un tampone.
È notizia degli ultimi giorni la chiusura delle indagini e la contestazione, a vario titolo, a dieci persone dei reati di rifiuto di atti d’ufficio e omicidio colposo.
L’inchiesta che sta facendo tremare i piani alti della sanità lucana, gettando una luce sinistra su come è stata gestita l’emergenza pandemica nella prima ondata, è stata avviata in seguito alla denuncia querela presentata dai familiari del giornalista attraverso l’avvocato molisano Danilo Leva che rappresenta la parte civile insieme al collega Giampiero Iudicello.
Tra gli indagati eccellenti, il direttore sanitario dell’Asp potentina D’Angola e il responsabile dell’unità di Igiene De Lisa, accusati di rifiuto di atti d’ufficio per non aver tempestivamente sottoposto a test diagnostico Nicastro che presentava sintomi chiari e riconducibili al Covid. Dalla prima richiesta del 13 marzo, il test fu effettuato solo il 20 e perché nel frattempo era intervenuta la Regione (altrimenti sarebbe stato eseguito il 23). In quegli stessi giorni, secondo la ricostruzione della procura, era stato dato via libera all’effettuazione di tamponi a soggetti asintomatici e senza alcun legame epidemiologico con casi conclamati.
La prima perizia non aveva evidenziato colpe mediche, puntando invece a contestare le linee guida della Regione Basilicata, divergenti con quelle nazionali. Erano le prime settimane di emergenza pandemica, ma il 13 marzo c’erano già circolari ministeriali che superavano il contatto con la Cina o aree a rischio per la definizione di sospetto Covid da sottoporre a tampone. Su questi aspetti ha focalizzato l’attenzione il medico legale molisano Buccieri, consulente della parte civile. E ha convinto il procuratore di Potenza Curcio e l’aggiunto Cardea a chiedere un secondo esame peritale.
Oltre al tampone ritardato, centrale nella vicenda è il mancato ricovero: Nicastro si presenta al pronto soccorso con febbre e tosse, nessun accertamento diagnostico viene disposto (tac, esame toracico), il paziente non viene segnalato a malattie infettive ma invece rinviato a casa. Dove, ricorda il legale che assiste la famiglia, continuò una cura con antibiotico che non faceva già effetto da giorni. È il motivo dell’accusa mossa alla dottoressa di turno per omicidio colposo. Nicastro, dopo l’esito positivo del tampone, fu ricoverato direttamente in terapia intensiva. Le sue condizioni erano ormai compromesse.

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