C’è anche il broker molisano Gianluigi Torzi, arrestato per l’affare della compravendita di un palazzo a Londra con il denaro del Vaticano, tra i cinque indagati nell’inchiesta milanese che ha portato ieri alle perquisizioni e acquisizioni della Guardia di Finanza per una presunta truffa da 1 miliardo di euro su «operazioni di cartolarizzazione di crediti cosiddetti “sanitari”». Torzi, già indagato nel fascicolo sulla presunta truffa da 15 milioni di euro alla storica società di mutuo soccorso Cesare Pozzo – da cui nasce questo nuovo filone – è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata e corruzione tra privati.
L’operazione del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte, nei confronti di persone fisiche e società «a vario titolo coinvolte in articolate operazioni di cartolarizzazione di crediti cosiddetti «sanitari» per un «valore nominale di riferimento pari ad oltre un miliardo di euro». Così in una nota il procuratore facente funzione Riccardo Targetti. Le indagini, coordinate dall’aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Carlo Scalas e Cristian Barilli, vedono al centro «le modalità di strutturazione di prodotti obbligazionari, con sottostante rappresentato da crediti “sanitari” vantati nei confronti di aziende sanitarie locali calabresi, campane e laziali».
Al centro dell’inchiesta, spiega il Corriere della Calabria, ci sarebbe il cosiddetto ‘gruppo Torzi’, la ‘piattaforma’ societaria attraverso la quale il broker avrebbe acquistato crediti sanitari, che imprese del settore vantavano nei confronti di diverse Asl. In particolare, con operazioni di “cartolarizzazione” avrebbe fatto investire su quei crediti una serie di “investitori istituzionali”.
Le imprese sanitarie che vantavano i crediti sulle Asl, stando a quanto ricostruito, presentavano profili di criticità «sia fiscale che economico-finanziaria» e li avrebbero ceduti al gruppo Torzi. A sua volta, il broker per acquistare quei crediti avrebbe reperito le risorse sul mercato da investitori istituzionali, che si aspettavano di riavere indietro capitale e interessi. I crediti sanitari, che una volta riscossi dovevano servire a liquidare gli investitori, erano, però, in gran parte «inesigibili», perché le imprese che li vantavano avevano realizzato prestazioni “extra budget” e quindi le Asl non le potevano rimborsare.

























