Attivata ieri l’unità di crisi regionale per l’accoglienza dei profughi istituita con decreto dal presidente Toma a cui toccherà convocarla.
Il governo nazionale intanto ha aggiornato dopo 12 anni il piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari. Oggi il documento, uno schema di decreto firmato dal capo della Protezione civile, sarà all’attenzione della Conferenza unificata per un parere
La decisione, a pochi giorni dall’attacco russo alla centrale di Zaporizhzhia (a quanto accertato poi senza conseguenze) e mentre crescono i timori Chernobyl, in mano ai russi e disconnessa dalla rete. Riparo al chiuso, con porte e finestre serrate e sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, iodioprofilassi e controllo della filiera produttiva: questi i punti cardine. Inoltre è prevista un’azione di intervento in tre diverse fasi, da prendere in considerazione in base all’evoluzione dello «scenario incidentale considerato», valutando le differenze tra un impianto nucleare posto entro i 200 chilometri dai confini nazionali e uno oltre quella distanza oppure per un incidente in territorio extraeuropeo.
Tre, dunque, gli scenari. Il primo considera un incidente a un impianto posto entro 200 chilometri dai confini nazionali tale da comportare l’attuazione di misure protettive dirette e indirette della popolazione. Il secondo, un incidente a un impianto in Europa posto oltre 200 chilometri dai confini nazionali e il terzo un incidente a un impianto posto in qualsiasi altra parte del mondo.
Tra le misure, quella del riparo al chiuso consiste nell’indicazione alla popolazione di restare nelle abitazioni, con porte e finestre chiuse e i sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, per brevi periodi di tempo, di norma poche ore, con un limite massimo ragionevolmente posto a due giorni. Nelle aree interessate dalla misura del riparo al chiuso, sono attuate in via precauzionale altre protezioni: blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente (verdure fresche, frutta, carne, latte), blocco della circolazione stradale, misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico. Le autorità devono comunicare tempestivamente alla popolazione l’inizio e la durata del riparo al chiuso (il dipartimento di Protezione civile in questo caso), istruzioni specifiche alle scuole e far fronte ai bisogni primari della popolazione (cibo, acqua, assistenza sanitaria, energia).
Nel documento si forniscono anche indicazioni per la iodioprofilassi, «efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l’assorbimento di iodio radioattivo, nei gruppi sensibili della popolazione». Secondo il piano, «il periodo ottimale di somministrazione di iodio stabile è meno di 24 ore prima e fino a due ore dopo l’inizio previsto dell’esposizione. Risulta ancora ragionevole somministrare lo iodio stabile fino a otto ore dopo l’inizio stimato dell’esposizione. Da evidenziare che somministrare lo iodio stabile dopo le 24 ore successive all’esposizione può causare più danni che benefici (prolungando l’emivita biologica dello iodio radioattivo che si è già accumulato nella tiroide). La misura della iodoprofilassi è quindi prevista per le classi di età 0-17 anni (quella a maggior rischio, ndr), 18-40 anni e per le donne in stato di gravidanza e allattamento».
Per evitare la corsa ad accaparrarsi pillole di iodio stabile, fenomeno che alcune farmacie hanno già registrato, l’Istituto superiore di sanità ha chiarito che «solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione». E ha invitato a non usare farmaci “fai da te”, mentre è raccomandato l’uso di sale iodato.

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