La morte ha colto Jorge Mario Bergoglio, a 88 anni, nel pieno della sua missione. Come ha voluto insegnare al mondo, non nascondendo nulla della malattia anche durante il recentissimo ricovero al Gemelli, il capo della Chiesa cattolica è un uomo che come gli altri uomini si presenta davanti a Dio.
«Alle 7.35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre», l’annuncio del cardinale Kevin Farrell, il camerlengo a cui tocca l’ordinaria amministrazione. Poche ore prima, nel giorno di Pasqua, il Pontefice si era affacciato per la benedizione pasquale urbi et orbi.
Nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, figlio di emigranti piemontesi, il 13 marzo 2013 diventò a 76 anni il primo Papa giunto dalle Americhe. Dalla periferia, dalla «fine del mondo», disse lui stesso affacciandosi alla finestra della Basilica di San Pietro dopo la fumata bianca. Primo capo religioso e di Stato a parlare di terza guerra mondiale a pezzi, infaticabile mediatore per costruire la pace.
Gesuita che aveva scelto il nome del poverello di Assisi (fra i gesuiti, il primo successore di Pietro), non c’è stato probabilmente altro Papa della storia recente, l’era in cui la comunicazione globale rende gli eventi potenzialmente eterni, che abbia saputo interpretare a fondo il Molise come Francesco. A saperne scoprire le ferite: il lavoro di domenica che non è libertà – quanto rumore fece nell’Aula Magna d’Ateneo questa affermazione eppure correva sotto la pelle e nelle ossa dei commessi dei supermercati da tempo –, il lavoro che non c’è o non rispetta la dignità, il dolore dei migranti e degli indigenti, la voglia di riscatto, consapevole degli errori commessi, dei carcerati. Il silenzio dei deboli che avrebbero tanto da dire. Dei piccoli, piccoli territori e genti sempre dimenticate. Tanto i molisani sono brave persone, miti e arrendevoli.
Il 5 luglio 2014, nella visita pastorale che il giorno dopo era già Storia per questo lembo di terra sospeso fra indolenza e fierezza, il Papa camminò per le strade del Molise indicando una via per rinascere. Con la sua voce potente, rompendo schemi e protocolli nel modo che è diventato la cifra del suo pontificato, accese i riflettori e la speranza in un luogo da sempre considerato Eboli. Cristo si è fermato anche qui.
Prima rottura degli schemi, Jorge Bergoglio atterrò nell’eliporto dell’Università in anticipo. Un sorriso affiora ancora al ricordo dell’affrettarsi dell’allora arcivescovo metropolita GianCarlo Bregantini. Nell’Aula Magna di via de Sanctis l’incontro con le istituzioni – insieme al presidente Frattura ad accoglierlo il collega governatore abruzzese D’Alfonso – e il mondo produttivo. «Non portare il pane a casa non è dignità», mise in chiaro prima della messa al vecchio Romagnoli all’ingresso di Campobasso. In prima fila i malati, dietro di loro le autorità. La preghiera dei fedeli per i poveri, gli scartati. Usò parole di gioia, fiducia, affidamento sul futuro, da costruire però con le proprie mani, per scuotere l’orgoglio dei molisani. Sorrisi, carezze, autografi. Una presenza travolgente fra le 80mila persone che si emozionarono all’unisono nell’area dell’ex stadio.
Il pranzo con gli ultimi di cui la Santa Sede quel giorno custodì dignità e umanità. Telecamere e fotografi rimasero fuori dalla mensa della Caritas che da allora è Casa degli Angeli “Papa Francesco”. Lo scatto, iconico, fu pubblicato sui canali social del Pontefice e sul sito del Vaticano.
A Castelpetroso, al Santuario dell’Addolorata patrona del Molise, la festa con 30mila giovani e l’invito: dovete camminare, non limitatevi a girovagare nella vita. Il suo affetto sincero, la sua inclinazione a mettere al primo posto il rapporto con l’umanità furono ricambiati anche dalle parole di Sara, giovane studentessa universitaria: «Ci aiuti a non perdere la speranza quando ci troviamo di fronte a tanti che alla domanda: da dove vieni, dal Molise? Ma è una regione italiana? Ci aiuti ad essere fieri delle nostre semplici origini, ci aiuti ad essere giusti e forti quando ingiustizie sociali ci impediscono di crescere, ci aiuti ad essere fieri e certi che “da Nazareth può uscire qualcosa di buono”».
Una tappa privata e intima a Ponte San Leonardo, il penitenziario di Isernia, da dove Bergoglio uscì con l’appellativo di “Papa Rock”, regalo dei detenuti. Ultimo passo del “cammino” l’abbraccio caldo e colorato a piazza Andrea d’Isernia.
Mentre il Molise si prepara con dolore e smarrimento all’addio, la domanda che scuote le coscienze è quanto la comunità abbia messo a frutto del messaggio, elettrizzante e potente, che il 5 luglio 2014 Francesco consegnò a questa terra. Ancora sospesa fra indolenza e fierezza.
rita iacobucci

























