Spopolamento e invecchiamento, fenomeni demografici interconnessi, hanno un impatto poco “sano” anche sul mondo del lavoro.
Si stima che in Molise – dove ogni 100 dipendenti under 35 ce ne sono 81 over 55 – entro il 2029 quasi 14mila persone lasceranno la propria occupazione. Per essere precisi, 13.800. Di questi, 5.300 (il 38,4% del totale) appartenenti al settore privato. Numeri relativamente piccoli che collocano la regione in fondo alla classifica della domanda di sostituzione dal 2025 al 2029 elaborata dalla Cgia di Mestre su dati Unioncamere, ministero del Lavoro, Sistema Excelsior. Ma che, considerati in rapporto alla realtà molisana restituiscono una fotografia abbastanza rappresentativa della sfida che hanno davanti aziende e, in Molise soprattutto, la Pubblica amministrazione (che perderà 8.500 dipendenti).
Complessivamente in Italia, si legge nel consueto report settimanale della Cgia, poco più di 3 milioni di lavoratori italiani (pari al 12,5% circa del totale) lasceranno definitivamente gli uffici e le fabbriche per andare in pensione. La quasi totalità lo farà per questo motivo; tuttavia, una piccola minoranza non timbrerà più il cartellino anche per altri motivi: ritiro volontario, perdita dell’impiego, emigrazione all’estero o passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa. Di questi 3 milioni, 1.608.300 sono attualmente dipendenti del settore privato (52,8%), 768.200 lavorano nell’Amministrazione pubblica (25,2) e 665.500 sono lavoratori autonomi (21,9).
«Un “esodo” mai visto fino a ora, con milioni di persone che passeranno dal mondo del lavoro all’inattività in pochissimo tempo con conseguenze sociali, economiche ed occupazionali di portata storica per il nostro Paese», commentano gli esperti dell’associazione di artigiani.
Che poi focalizzano l’attenzione sul mismatch che già adesso è pesante: gli imprenditori fanno molta fatica a trovare il personale che cercano. Una situazione destinata a peggiorare.
In valore assoluto, le regioni più coinvolte dalla domanda di sostituzione saranno quelle, ovviamente, dove la popolazione lavorativa è più numerosa e tendenzialmente ha una età media più elevata. Al primo posto la Lombardia che sarà chiamata a rimpiazzare 567.700 lavoratori. Seguono il Lazio con 305.000 e il Veneto con 291.200. In coda alla graduatoria l’Umbria con 44.800, la Basilicata con 25.700 e, infine, il Molise con 13.800 unità.
Dei 3 milioni che entro i prossimi cinque anni lasceranno il posto di lavoro, quasi 2.205.000 (il 72,5% del totale) sono occupati nei servizi. Altri 725.900 nell’industria (23,8) a cui vanno aggiunti 111.200 (3,6) impiegati in agricoltura. A livello nazionale oltre sette sostituzioni su dieci interesseranno il settore di servizi, con uscite particolarmente importanti nel commercio (379.600 unità), nella sanità pubblica/privata (360.800) e nella Pubblica amministrazione (331.700). Nell’industria, infine, spicca il numero di rimpiazzi a cui dovrà essere sottoposto il comparto delle costruzioni (179.300).
In stretta relazione alle uscite dal lavoro per raggiunti limiti di età c’è il progressivo invecchiamento dei dipendenti privati. È interessante, a questo proposito, analizzare l’andamento dell’indice di anzianità. Se nel 2021 il tasso era del 61,2, nel 2022 è aumentato al 62,7 per attestarsi nel 2023 al 65,2 (+ 4 punti in soli due anni). Vuol dire che, rispetto all’ultima rilevazione, in Italia ogni 100 dipendenti sotto i 35 anni ce ne sono 65 che hanno oltre 55 anni. Le cause di questa tendenza sono numerose – pochi ingressi nel mercato del lavoro dei giovani rispetto alle fasce anagrafiche che superano la soglia dei 55 anni e una più prolungata permanenza nei luoghi di lavoro degli addetti in età avanzata – e tutte contribuiscono a innalzare questo indicatore verso valori di criticità. Senza contare che nel nostro Paese da sempre la domanda e l’offerta faticano a incrociarsi. Spesso – sottolinea la Cgia – i giovani che sono alla ricerca di un’occupazione presentano un deficit educativo ed esperienziale notevole rispetto alle abilità professionali richieste dalle attività economiche. Tra qualche anno, quando milioni di lavoratori con elevata esperienza e professionalità dovranno essere sostituiti, gli imprenditori, non trovandoli sul mercato, non avranno alternativa. Dovranno contendersi i migliori dipendenti dei concorrenti, offrendo a questi ultimi incrementi salariali significativi.
Ad oggi, la regione che presenta l’indice di anzianità dei dipendenti privati più elevato è la Basilicata (82,7). Seguono la Sardegna (82,2), il Molise (81,2), l’Abruzzo (77,5) e la Liguria (77,3). Il dato medio nazionale, come ricordavamo più sopra, è pari al 65,2. Le regioni meno “colpite” da questo fenomeno – anche se già da alcuni anni fanno comunque i conti con questa grave criticità – sono l’Emilia Romagna (63,5), la Campania (63,3), il Veneto (62,7), la Lombardia (58,6) e il Trentino Alto Adige (50,2). ppm

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