In Molise 156.310 contribuenti, pari al 74,1% del totale, hanno dichiarato nel 2023 un reddito complessivo medio di 19.600 euro, inferiore alla media nazionale che è pari a 24.830 euro.
I meno ricchi so trovano in Calabria con 18.230 euro e Puglia, dove il reddito complessivo medio dichiarato è stato di 19.570 euro. In testa, invece, alla graduatoria nazionale, la Lombardia con 29.120 euro. La stima è della Cgia di Mestre su dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
A livello provinciale, i contribuenti di Isernia, con un reddito complessivo medio di 19.696 euro e un’Irpef di 4.555 euro, superano quelli di Campobasso: 19.561 euro e un’Irpef di 4.302 euro.
Al netto delle detrazioni e degli oneri deducibili, si legge nel dossier settimanale della Cgia, nel 2023 i contribuenti italiani hanno dichiarato un’Irpef pari a 190 miliardi di euro. A livello territoriale il prelievo medio netto più elevato ha interessato i contribuenti di Milano con 8.846 euro. Seguono le persone fisiche di Roma con 7.383, della provincia di Monza-Brianza con 6.908, di Bolzano con 6.863 e della Città Metropolitana di Bologna con 6.644. I meno tartassati d’Italia sono stati i contribuenti della Sud Sardegna che hanno pagato solo 3.619 euro. La media nazionale è stata pari a 5.663 euro.
Tenendo in considerazione il fatto che il sistema fiscale italiano si fonda su criteri di progressività, va evidenziato che le aree geografiche caratterizzate da un prelievo più elevato corrispondono, in linea di massima, a quelle con redditi più alti. Infatti, se si analizza la classifica delle province italiane per reddito complessivo medio dichiarato, emerge che la Città Metropolitana di Milano è la più ricca con 33.604 euro. Seguono i contribuenti di Bologna con 29.533, quelli di Monza-Brianza con 29.455, di Lecco con 28.879, di Bolzano con 28.780, di Parma con 28.746 e di Roma con 28.643. Territori che si contendono anche le primissime posizioni della classifica relativa al prelievo fiscale riconducibile all’Irpef.
Sia per quanto riguarda il livello di reddito che quello di tassazione, lo scostamento tra Nord e Sud del Paese è molto rilevante. Tra le 107 province monitorate, la prima del Mezzogiorno per livello di prelievo Irpef e anche per reddito complessivo medio è Cagliari che occupa rispettivamente il 25° e il 46° posto. Inoltre, stimando la percentuale di contribuenti sul totale regionale che dichiara un reddito complessivo inferiore a quello medio nazionale (pari nel 2023 a 24.830 euro), si nota che le regioni del Mezzogiorno presentano dati assai preoccupanti. Se a livello medio nazionale la percentuale è del 65,9%, tutte le regioni del Sud e delle Isole registrano una quota superiore al 70%. La situazione più critica riguarda la Calabria, dove il 77,7% dei contribuenti (pari a 919.009 persone fisiche) ha dichiarato meno della media nazionale.
Complessivamente sono oltre 42,5 milioni i contribuenti Irpef presenti in Italia. Di questi, quasi 23,8 sono lavoratori dipendenti, 14,5 pensionati, 1,6 lavoratori autonomi e 1,6 percettori di altri redditi. L’area che ne conta di più è Roma. Nella ex provincia capitolina ve ne sono quasi 3 milioni, a Milano 2,4, a Torino poco meno di 1,7, a Napoli 1,65 e a Brescia poco più di 941mila. Chiude la graduatoria nazionale la provincia di Isernia con oltre 59mila.
Il report della Cgia offre anche un focus sulla pressione fiscale. Nel Documento di Economia e Finanza del 2025, si stima che per l’anno in corso sia al 42,7%, in lieve aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al dato del 2024. Tuttavia, precisano gli esperti dell’associazione di artigiani, va ricordato che la legge di Bilancio 2025 ha sostituito la decontribuzione a favore dei lavoratori dipendenti con una analoga misura che combina gli sconti Irpef con il “bonus” a favore delle maestranze a basso reddito. Mentre la decontribuzione si traduceva in minori entrate fiscali-contributive, il “bonus” (che vale circa 0,2 punti percentuali di Pil) viene contabilizzato come maggiore spesa e quindi va ad “appesantire” la pressione fiscale. Pertanto, tenendo conto di questo aspetto, nel 2025 la pressione fiscale sarebbe destinata a diminuire, sebbene di poco, attestandosi comunque al 42,5%.
La pressione fiscale è tornata a salire con forza a partire dal 2023. Tuttavia l’incremento della pressione fiscale non è ascrivibile a un aumento delle tasse – rimarca la Cgia – quanto a una pluralità di novità legislative di natura economica introdotte a livello politico. Tra i principali inasprimenti fiscali introdotti dal governo in carica, il dossier ricorda queste misure: incremento della tassazione sui tabacchi, dell’Iva su alcuni prodotti per l’infanzia/igiene femminile e dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni per l’anno 2024; rimodulazione delle detrazioni per le spese fiscali con l’introduzione di alcune limitazioni per redditi elevati, l’inasprimento della tassazione sulle cripto-attività, la riduzione delle detrazioni delle spese per le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico per l’anno 2025.

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