Aprire uno stabilimento produttivo negli Stati Uniti? Un’idea che in “Molisana” esiste da tempo, un’ipotesi di lavoro che prescinde dalla guerra commerciale scatenata da Trump. Ma non certo adesso, è la rassicurazione arrivata ieri pomeriggio dallo storico pastificio di Campobasso, sotto il ricatto dell’amministrazione Usa. L’obiettivo, aveva spiegato in mattinata incontrando i giornalisti l’ad Giuseppe Ferro, è proprio quello di «fare in modo che le produzioni passino dall’Italia in America».
Come ad altri 12 pastifici italiani, fra cui Garofalo e Rummo, La Molisana potrebbe dover pagare, da gennaio, dazi del 107% per via della procedura di dumping, per l’azienda di Campobasso è la terza e una quarta è in arrivo, a cui è stata sottoposta. «Cercheremo di discutere con l’amministrazione americana, perché con dazi al 107% per noi non è possibile lavorare», ha detto Ferro ai cronisti.
Ad oggi, l’export verso gli Stati Uniti equivale a circa il 10-11% del totale delle esportazioni de La Molisana. «Speriamo in un ripensamento, intanto voglio ringraziare i ministri Antonio Tajani e Francesco Lollobrigida che si sono mossi molto velocemente e in maniera significativa», ha aggiunto Ferro. Poi ha spiegato, rispetto alle procedure di dumping, che «la prima volta abbiamo vinto col “dazio zero”, quindi il meglio della correttezza, la seconda 1,6%». Questa volta, invece, il pastificio molisano si è visto assegnare oltre il 91% di dazi. Una percentuale applicata perché, secondo Washington, l’azienda non sarebbe stata collaborativa. «Cosa assolutamente non vera», ha sottolineato l’ad. E ha spiegato che non si tratta di un calcolo numerico, bensì di «una procedura di penalità». In sintesi, i pastifici italiani sono “accusati” di concorrenza sleale. I dazi che Washington potrebbe imporre ai pastifici italiani nascono da un’indagine sollecitata da produttori di pasta statunitensi. Le aziende italiane “colpite” sono accusate di vendere la propria merce a un prezzo ribassato e sotto il costo di produzione, con l’obiettivo di sbaragliare la concorrenza. Ma è chiaro anche l’obiettivo di politica commerciale e industriale dell’amministrazione Trump.
La perdita delle vendite stimata da Ferro, con l’extra dazio, è pari al 90%. «Noi il mercato americano non vogliamo perderlo», ha sottolineato. Per ora si procede quindi con la battaglia legale per controbattere a «queste decisioni che non sono giustificate». Ma per compensare perdite in America l’azienda ha anche un piano B: «Abbiamo già stimolato altri mercati asiatici molto importanti».
Coldiretti Molise ha parlato di «nuova mannaia» che «incombe sul vero made in Italy». Se applicato, il dazio al 107% raddoppierebbe il costo di un primo piatto per le famiglie americane, aprendo di fatto un’autostrada ai prodotti “Italian sounding”. «Dobbiamo difendere e valorizzare la filiera della pasta, negli Usa come in Italia – ha affermato il presidente Claudio Papa – per non svendere una delle nostre eccellenze simbolo». «Così come chiediamo il giusto prezzo per il grano italiano – gli ha fatto eco il direttore regionale, Aniello Ascolese – riteniamo sia fondamentale garantire un giusto valore per la pasta». «Le accuse americane di dumping, ovvero vendita sottocosto – ha spiegato Papa – sono inaccettabili e strumentali al piano di Trump di spostare le produzioni negli Stati Uniti. Questo è uno scenario che va scongiurato e per questo la Coldiretti – ha concluso – chiede che il governo italiano e l’Unione europea si attivino con decisione per difendere il prodotto simbolo della dieta mediterranea e tutelare il lavoro, la qualità e la reputazione di un’intera filiera agroalimentare che rappresenta l’Italia nel mondo».

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