Il sole sta per levarsi dalle alture di Bengal. Sono le ore 6.20 di giovedì 5 dicembre 1935. Il CA.101bis matr. 60020, aereo affidabile, elegante, potente con i suoi tre motori Alfa Romeo, è pronto a rullare sulla pista. Il carico di bombe è completo, sei ordigni da 31 kg, così la dotazione delle armi di bordo.
Dopo una robusta colazione, il volo andata-ritorno sarà lungo e faticoso, Guido Iacobucci ha indossando la tuta e il giubbotto foderato, riponendo nell’ampia tasca la carta topografica che servirà per riconoscere le località sorvolate pure se, già effettuate numerose missioni, per lui il territorio lungo la camionabile Dolo-Neghelli ormai non presenta segreti.
Gli informatori hanno riferito che le quattro colonne nemiche di ras Destà starebbero muovendo da Neghelli e lungo il Gestro per convergere su Dolo, per cui è stata disposta “una ricognizione lontana da compiersi da apparecchio CA.101 lungo pista Dolo-Gogoru-Filtu, cercando di raggiungere Neghelli con il compito di constatare presenza di armati sulla pista Gogoru-Filtu, e presenza concentramento armati nelle località Filtu e Neghelli” (Gen. B.A. Bernasconi ing. Mario, riassunto ordini operazioni, Mogadiscio 6 dicembre 1935-XIV).
Sul velivolo, con il ten. Iacobucci, hanno preso posto lo stesso gen. Bernasconi, comandante dell’Aviazione della Somalia, 1° pilota; il 2° pilota ten.col. Virginio Rigolone; il radiotelegrafista serg. Giuseppe Grimaldi; l’inviato di guerra del “Corriere della Sera” Mario Massai.
Guido è nato a Vinchiaturo nel 1905 da Gaetano e Giovanna Stanziani. Non appena conseguita la licenza di scuola superiore, ha fatto domanda per accedere alla scuola Allievi Ufficiali di complemento in Roma e vi è entrato il 1° di settembre del 1923. Sottotenente nel 1924, è stato assegnato per il servizio di prima nomina al 226° reggimento di fanteria, ma subito ha chiesto e ottenuto l’ammissione alla Reale Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena. Promosso tenente in Servizio Permanente Effettivo, nel 1927 è stato destinato al 1° reggimento alpini, quindi, seguito il corso di osservatore d’aeroplano a Grottaglie, a richiesta nel 1931 è stato inviato in Cirenaica.
Dopo nove mesi di colonia, rientrato in Italia ha portato all’altare “la leggiadra signorina” Maddalena Piglia dai cui nel 1934 ha avuto un amore di bimba cui è stato dato il nome di Giovanna, Vanna in famiglia.
In Africa Orientale Guido Iacobucci è giunto nel maggio del 1935, assegnato al Reparto Osservazione Terrestre in Bulo Burti, aggregato al XXII battaglione eritreo, 4° raggruppamento: “In salute sto bene. ho avuto un piccolo disturbo, ma mi sono rimesso in due giorni e fo vita fisica, a piedi e a muletto e sto benone”, ha comunicato alla moglie.
Il 27 settembre l’ordine di presentarsi a Mogadiscio per l’assegnazione definitiva. Un giorno e una notte di viaggio in camion, caldo asfissiante, polvere, scossoni, mosche, il bivacco tra termiti e nauseabonde formiche “cadaveriche” dall’orribile lezzo di putrefazione, il latrare agghiacciante delle iene. A Mogadiscio lo attende il fratello Guglielmo, pilota d’aviazione, in Somalia da più di un anno: “Fummo a pranzo insieme. Parlammo delle nostre cose, scambiandoci le impressioni e i pensieri, i sentimenti per la famiglia lontana, a lungo contenuti nell’angolo più santo dell’animo, per dare forza al sentimento del dovere della Patria”. Dopo due giorni, insieme hanno raggiunto in volo Lugh Ferrandi, presidio avanzato in vista della guerra contro l’Etiopia che ha inizio il 3 ottobre.
E siamo al 5 dicembre, ore 6.25. Bernasconi è al posto di pilotaggio, al fianco c’è Rigolone, gli altri sono nella carlinga. Il pilota imbocca la pista, apre a manetta, l’aereo prende velocità e poi, leggero, libra nell’aria: “Una nuvola di polvere si allontana, spinta dall’uragano di tutte le eliche” (Mario Massai, Corriere della Sera, 8 dicembre 1935).
Il pensiero, è un lampo, corre a casa, a Vanna “ad una bimbetta bella come un bocciolo del fiore più bello”, a Lenina, ai genitori Giovanna e Gaetano. Si va. “Il nostro cuore vibra col vibrare dei motori e l’occhio è sorretto dall’anima dei soldati”, ha scritto qualche giorno prima. Ai margini della pista, Guglielmo lancia l’ultimo saluto col gesto calmo della mano.
“Varcato il Giuba, la steppa monotona si spiega lentamente sotto i nostri occhi. Solitudine. Tutto respira la quiete”. Il sole che sale nel cielo illumina le grandi, solitarie acacie la cui ombra si allunga sul terreno colore dell’ocra. Le fiere della notte sono tornate alle tane, in aria tutto un variegato volteggiare d’uccelli.
Ore 6.50, verticale di Dolo. Il paese è stato occupato dalle nostre truppe già nei primi giorni di guerra, si prosegue senza contrattempi. I sentieri e i pochi agglomerati di capanne sembrano deserti.
Ore 7.15, ecco Goguru, alla confluenza del Gestro nel Ganale Doria. L’aereo vira di 90 gradi a ovest per seguire la camionabile ancora dubbia nella foschia mattutina: “Il tenente cerca la strada che il generale gli mostra sulla carta. Questo bel tratto rosso che parte da Malca Riè non corrisponde a nulla sul terreno, almeno a nulla che noi possiamo vedere”.
Improvvise nuvole basse costringono a scendere sotto i 400 metri di quota per poter seguire la pista finalmente individuata. Iacobucci segnala due cavalieri, due uomini montati sui caratteristici muletti etiopici, i quali al galoppo cercano di celarsi nel bosco non lontano: “L’uno d’essi porta la cappa nera col cappuccio sulla spalla; l’altro deve essere un servitore o un soldato”. Non si scorgono altri armati, che pure devono esserci.
Ore 8.15, verticale di Filtu. Bernasconi decide di giocare il tutto per tutto, di scendere ai 60 metri per provocare il nemico. È una manovra rischiosa ma può riuscire. L’aereo quasi sfiora le cime degli alberi, più facile bersaglio per la contraerea abissina che adesso si dà da fare: “All’improvviso, un vapore biancastro esce da un gruppo d’alberi: senza dubbio il fuoco di un qualche gruppo di beduini. Ma quasi subito altri fumi come quello nascono sotto a noi. Sono, senz’altro, colpi di fucile”. La raffica di una mitragliatrice sfiora l’ala sinistra del Caproni. Bernasconi impenna e sale rapidamente sopra i 200 metri, ha saputo ciò che voleva sapere, la ricognizione può proseguire. Il giorno pieno ha diradato la foschia e i particolari sono adesso più chiari. Dall’oblò il ten. Iacobucci osserva con scrupolo ogni cosa, ogni pur piccolo sentore di movimento.
Quota circa 1.500 metri, il Caproni sorvola i monti Arussi coperti da foreste d’ulivi selvatici grandi come querce secolari, cedri magnifici nei versanti esposti a nord. Il vento favorisce il volo, ma al ritorno sarà contrario. Bernasconi aggrotta la fronte, controlla il livello del carburante, misura il pericolo e tira avanti.
Ore 9.30 finalmente Neghelli. Il villaggio sbuca dalle nubi tra due picchi montani. Nuvole bassissime. Per inquadrare i bersagli Bernasconi deve di nuovo planare a non più di 100 metri. Un passaggio radente, dall’aereo si lasciano cadere le sei bombe che esplodono nel mezzo dell’accampamento, tra tende, tucul e arisc numerosissimi. Durante questa manovra Rigolone chiede a Iacobucci di prendere il suo posto per meglio eseguireil puntamento. È il fato che vuole così, è Atropos in combutta con Thanatos.
Dal nemico un nutrito fuoco contraereo con cannoncini, mitragliatrici e fucili: “Vi sono ancora molti bioccoli bianchi prodotti dai fucili Gras: e io temo questi. Questi antichi fucili appartengono a vecchi abissini o a beduini, tutti eccellenti tiratori”.
Quando l’aereo ripassa mitragliando da 60 metri d’altezza, una pallottola, una sola pallottola sparata proprio da un vecchio abissino, centra Iacobucci al cuore. Il violento fiotto di sangue schizza fino a quattro metri di distanza, Guido si accascia, mentre Bernasconi cerca di sorreggerlo con la mano, pilotando l’aereo con l’altra. Grimaldi, Massai e Rigolone si precipitano a soccorrerlo. Ma non c’è nulla da fare, Guido è già morto.
Il cadavere viene deposto all’interno della fusoliera e adagiato sul pianale: “Il sole, che abbiamo ritrovato al di sopra delle nubi, illumina il suo volto pallido. Il colonnello ha ripreso il suo posto, quel posto che il signore del Destino gli fece abbandonare nel momento in cui, a terra, un vecchio cacciatore puntava la sua arma” racconta ancora Massai sul “Corriere”.
Ora il trimotore dirige per far rientro a Lugh. Possiamo solo immaginare lo strazio del fratello, il dolore provato da Guglielmo nel momento in cui apprende la notizia, forse già attraverso la radio di bordo; nel momento in cui il Caproni tocca la pista; nel momento in cui la salma viene scesa; nel momento in cui viene ricomposta nell’edificio che ospita il presidio; nel momento in cui viene adagiata in una semplice cassa di legno. L’8 dicembre a Mogadiscio si celebrano le solenni esequie al cospetto delle autorità militari e civili e degli italiani di Somalia.
Guglielmo stesso ha telegrafato a Vinchiaturo per annunciare quello che mai avrebbe voluto, per confessare l’indicibile sciagura ai genitori e a Maddalena. In una delle ultime lettere di Guido, con tutta la dolcezza di un marito e di un padre affettuoso, possiamo quasi leggere il presagio della fine, la consapevolezza del suo destino di figlio e di alpino cui la Madre Italia ha chiesto di scalare il cielo degli Eroi: “Accudite la piccola Giovanna. Vogliate sempre bene a Lenina e rendetele dolce la vita e sereno il pensiero che lei ha per me. Siate gelosi di lei e di tutto di lei. Abbiate amore per me. Vi bacio tutti forte, forte. Vostro Guido”.
Una medaglia d’argento al valore ne celebra la memoria, appuntata da Mussolini, nel corso di una cerimonia a Roma il 4 aprile 1937, sul petto della piccola Vanna che non potrà purtroppo ricordare il suo “babbino soldato”.
Oggi Guido Iacobucci, tenente alpino osservatore d’aeroplano, riposa nel cimitero di Vinchiaturo insieme ai fratelli Guglielmo e Italo, anch’essi aviatori caduti in servizio.
Massimo Vitale
























