Mentre a livello nazionale aumenta in media il numero delle piccole imprese insolventi – in particolare lavoratori autonomi, artigiani, esercenti, commercianti o piccoli imprenditori – il Molise fa registrare un dato in controtendenza.
In base all’analisi della Cgia di Mestre, al 30 giugno 2025 le imprese molisane affidate con sofferenze erano 655, 15 in meno rispetto allo stesso periodo del 2024 e con una variazione percentuale del -2,2 %, in Italia +3,6%.
L’analisi provinciale, però, ha evidenziato due differenti situazioni con Campobasso che ha visto aumentare da 470 a 472 le imprese in difficoltà, mentre a Isernia sono passate da 200 a 183 con una variazione percentuale del -8,5%, tra le più significative su scala provinciale.
Il rapporto settimanale dell’associazione degli artigiani veneti, però, rilancia un allarme significativo: con l’arrivo delle festività aumenta il rischio usura.
Nelle settimane che precedono il 25 dicembre molte famiglie ricorrono al credito al consumo (prestiti personali, dilazioni di pagamento, “buy now, pay later” e rateizzazioni), per far fronte alle spese per regali e consumi natalizi. L’incremento delle spese coinvolge anche gli artigiani e i piccoli commercianti che, a differenza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, non dispongono né di entrate certe né di tredicesima. Una situazione, sottolineano dall’Ufficio Studi della Cgia, che induce molte persone a ricorrere a prestiti. Nelle scorse settimane, rivela una recente indagine commissionata da Facile.it a mUp Research, 800mila italiani hanno dichiarato di aver utilizzato il credito al consumo per acquistare i regali del prossimo Natale tramite finanziamenti o prestiti personali. Si sono tutti rivolti alle banche o a istituti finanziari o hanno chiesto aiuto ad amici o semplici “conoscenti” – è l’interrogativo posto dalla Cgia – accettando offerte potenzialmente rischiose?
Focalizzando poi l’attenzione sulle aziende, dopo la contrazione registrata nel periodo Covid, da due anni quelle con sofferenze sono tornate ad aumentare. Al 30 giugno 2025 il numero complessivo ha sfiorato le 122mila unità (+3,6% rispetto allo stesso periodo del 2024). La ripartizione territoriale più a rischio è il Mezzogiorno: 42.032 le imprese in sofferenza (il 34,5% del totale) con un incremento rispetto all’anno prima del 6,3%. Seguono il Nordovest con 29.780 imprese (24,4%), il Centro con 29.725 (24,4%) e infine il Nordest con 20.431 (16,8%). Questa platea è costituita in massima parte da lavoratori autonomi, artigiani, esercenti, commercianti o piccoli imprenditori che sono “scivolati” nell’area dell’insolvenza e, conseguentemente, sono stati segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Questa “classificazione” impedisce di accedere a un nuovo prestito. E spesso l’esito è quello peggiore: si ricorre al circuito illegale.
Ma nonostante l’aumento del numero di aziende insolventi, si registra una diminuzione delle denunce per usura. Come è noto, questo fenomeno non può essere valutato esclusivamente sulla base delle segnalazioni ricevute. Un dato di fatto più volte evidenziato la scorsa settimana dai rappresentanti istituzionali alla giornata di studi su usura e racket promossa all’Unimol dall’associazione Sos Impresa – Rete per la legalità insieme all’Osservatorio provinciale sul fenomeno coordinato dalla Prefettura di Campobasso.
Gli usurai operano all’interno di reti criminali organizzate che esercitano un forte condizionamento psicologico sulle vittime, attraverso intimidazioni preventive, quali danneggiamenti ai beni o, in casi più gravi, violenze fisiche e minacce rivolte anche ai familiari. Inoltre, molte persone provano imbarazzo nell’ammettere di trovarsi in tale situazione, e questa “vergogna” rappresenta un ostacolo significativo alla richiesta di aiuto, soprattutto nei piccoli centri dove la conoscenza reciproca è molto diffusa.
A livello provinciale, il numero più elevato di imprese segnalate come insolventi si concentra nelle grandi aree metropolitane. Sempre al 30 giugno scorso, Roma era al primo posto con 10.664 aziende: subito dopo troviamo Milano con 7.009, Napoli con 6.737, Torino con 4.885 e Firenze con 2.683. Rispetto a 12 mesi prima, in termini percentuali, il peggioramento ha interessato in particolare Grosseto con il +20,9 per cento di imprese affidate con sofferenze (in valore assoluto +115). Seguono Arezzo con il +18,7 (+134), Siena con il +17,2 (+98), Siracusa con il +15,8% (+118) e Ragusa con il +14,7 (+99).
Chi finisce nella black list della Centrale dei Rischi difficilmente può beneficiare di alcun aiuto economico dal sistema bancario, rischiando, molto più degli altri, di chiudere o, peggio ancora, di finire tra le braccia degli usurai. Per evitare che questa criticità si diffonda, la Cgia continua a chiedere con forza il potenziamento delle risorse a disposizione del “Fondo di prevenzione dell’usura”. Uno strumento che è l’unico valido aiuto a chi si trova in questa situazione di vulnerabilità. Inoltre, gli imprenditori che vengono segnalati alla Centrale Rischi della Banca d’Italia non sempre lo devono a una cattiva gestione finanziaria della propria azienda. In moltissimi casi, questa situazione si verifica a seguito dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere con regolarità i pagamenti dei propri committenti o per essere “caduti” in un fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi.
Ad eccezione degli anni caratterizzati dalla crisi pandemica, dal 2011 ad oggi sono crollati i prestiti bancari alle imprese italiane. A fronte dei 1.017 miliardi di euro erogati verso la fine del 20116, siamo scesi a poco più di 711 miliardi nel febbraio 2020 (inizio pandemia). Dopo l’incremento avvenuto durante il periodo Covid che ad agosto 2022 aveva innalzato lo stock erogato a 757,6 miliardi di euro, è ripresa la riduzione e a settembre di quest’anno si è attestata a poco meno di 667 miliardi. In 12 anni, rispetto al picco massimo erogato nel 2011, le imprese hanno perso 350 miliardi di prestiti bancari (-34,4%).

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