L’altra faccia del Covid 19 ha i volti sorridenti di chi ha scelto di combattere e vincere questa guerra rinunciando alla propria famiglia, ai figli o ai genitori, ai fidanzati, alla propria casa dove trovare riparo. Dieci tra infermieri e operatori socio sanitari, un coordinatore giovane e caparbio, 12 suore e 95 ospiti della casa di riposo Villa Santa Maria di Montenero di Bisaccia sono isolati, volontariamente, da 26 giorni nella struttura di contrada Colle Rampone. Si vede il mare dai balconi ampi e soleggiati che affacciano sul giardino ricco di ulivi secolari. Spazio per il Covid, qui, non ce ne è: merito di decisioni prese in tempo, di scelte radicali ma condivise nella certezza di quello che avrebbe significato la quarantena volontaria. Blindare la casa di riposo che, dal 2017, ospita anche disabili, situata in una delle zone rosse del piccolo Molise, il cluster di Montenero di Bisaccia, il primo focolaio del maledetto Covid 19. «Siamo stati previdenti» minimizza Giovanni Cutolo, salernitano di 26 anni, responsabile della struttura nata nel 1983 a Montenero di Bisaccia per volontà dell’Istituto Dottrina Cristiana come riconoscenza verso la famiglia Valerio che donò tutti i suoi beni all’Istituto. «A fine febbraio abbiamo vietato le visite dei familiari degli ospiti e poi, il giorno prima della ‘chiusura’ di Montenero decretata dal presidente della Regione, abbiamo deciso di restare nella struttura evitando di avere contatti con l’esterno. Ne abbiamo parlato tutti insieme, ho verificato la possibilità di questa quarantena volontaria con il mio gruppo di lavoro. Ci siamo dati un po’ di tempo per vedere come poi sarebbe andato l’isolamento ed eccoci qui, sono passati 26 giorni…». La struttura permette di poter ospitare tutti gli operatori che lavorano nella casa di riposo, c’è spazio a sufficienza. Tutti hanno compreso l’importanza di questa ‘clausura volontaria’ come la chiama Giovanni, ben prima che scoppiassero i focolai mortali nelle case di riposo, che il Covid si insinuasse nelle vite dei più fragili spazzando via una intera generazione di nonni che non hanno potuto nemmeno avere il conforto dell’addio. E così, con quella decisione assunta 26 giorni fa, la comunità di Villa Santa Maria ha tenuto le porte sbarrate al Covid 19. «Ci siamo comunque organizzati, destinando tre stanze all’isolamento di eventuali ospiti contagiati – continua ancora Giovanni Cutolo – e abbiamo adottato una serie di buone pratiche per evitare qualsiasi contatto con l’esterno». Il che, in parole povere significa, utilizzare la telemedicina per avere un monitoraggio sanitario costante di tutti gli ospiti. «Siamo infermieri – spiega ancora – e lavoriamo sotto la supervisione degli specialisti». Non entra nessuno, controlli e monitoraggi avvengono utilizzando al meglio la tecnologia. E poi ci sono i consigli del dottor Oriente, il dirigente medico del dipartimento di prevenzione del San Timoteo di Termoli. E per quei pazienti che avrebbero avuto bisogno di cure più impegnative, che non potevano essere fornite all’interno della struttura come ad esempio la dialisi, si sono adottate altre decisioni più consone allo stato di salute e alle necessità di sicurezza nei confronti di tutti gli ospiti. Entrano e escono solo gli operatori che si occupano della cucina e della pulizia della struttura «ma non hanno alcun contatto né con gli ospiti né con noi» racconta ancora Giovanni. L’organizzazione è stata studiata a tavolino e nei dettagli, è frutto di una serie di considerazioni ragionate che hanno evitato fino ad oggi rischi e possibili contagi. Il vitto viene preparato nella cucina interna, nessun contatto con il personale della cooperativa che se ne occupa e che provvede quindi anche al rifornimento dei beni di prima necessità. Per le pulizie, lo staff adeguatamente protetto entra in azione non appena le stanze sono libere. «Liberiamo un piano alla volta, così evitiamo contatti tra gli addetti alle pulizie e gli ospiti». Un ragionamento che fila liscio come l’olio, che garantisce tutti, in primis chi con un eventuale contagio potrebbe rischiare la vita. Tutti gli operatori sono dotati di dispositivi di protezione individuale. «Le mascherine con il filtro ci sono state donate da un commerciante di Montenero di Bisaccia, altri dispositivi sono arrivati dall’amministrazione comunale e dalla protezione civile. E per i tamponi, sappiamo che nell’elenco delle priorità ci sono prima i sintomatici e poi le situazioni critiche. Toccherà anche a noi» confida il responsabile della struttura. Ma nell’enclave di contrada Colle Rampone, circondato dalla zona rossa di Montenero, il Covid non si è nemmeno potuto affacciare, non ha trovato spiragli per insinuarsi. Giovanni Cutolo guida Villa Santa Maria da 4 anni, una storia – la sua – scritta un po’ per caso ma piena di dedizione e passione, sentimenti che animano il suo gruppo di lavoro che ha scelto di isolarsi per proteggere e proteggersi: tre infermieri – Veronica Mautone che arriva dalla Campania, Noemi Birra del vicino Abruzzo e la molisana Melania Pinti – e sette operatori socio sanitari – Francesca Cotollessa, Antonella Iadonato, Sefora Colameo, Esterina Mancini, Domenico Di Pietrantonio, Giuliana Del Gesso e Ariana Iuliano (tutti molisani). Giovanni nasce infermiere, come racconta. Poi gli studi per la magistrale, un percorso in management sanitario e quell’incontro casuale con suor Valeria Valerio, la direttrice della casa di riposo. «Ero ad un battesimo a L’Aquila, lei era fra gli ospiti e le ho dato un passaggio in macchina. Mi ha chiesto cosa facessi, ha voluto il mio curriculum ed eccomi qui» racconta. Un po’ per caso, un po’ perché la sua è una missione ed è come se suor Valeria lo avesse capito, in quel breve tragitto in macchina. Gli ospiti della struttura, alcuni non autosufficienti e altri disabili, sono le persone di cui si prende cura ogni giorno, con le decisioni più giuste e con responsabilità: con lui la sua squadra che sta sperimentando una lunga fase di clausura volontaria. Ma c’è poco spazio per pensare a se stessi, ai figli lasciati a casa e che si possono contattare solo a telefono. Ai fidanzati e alle fidanzate, ai genitori lontano. L’attenzione è concentrata sui 95 ospiti e, per aiutarli a superare la difficoltà di non aver più contatti con i familiari da quasi due mesi anche a Villa Santa Maria si ricorre alla tecnologia, con lo stupore che ha suscitato all’inizio negli anziani abituati a stringere mani più che guardare volti da uno schermo. «Usiamo le videochiamate, così raggiungiamo gran parte dei loro familiari: lo stato psichico è molto importante, non a caso rientra nel nostro accertamento infermieristico. Cerchiamo di tenerli su anche con tante attività ricreative, tipo musica, balli, giochi. Direi che reagiscono molto bene». Sulla pagina Facebook della struttura, il racconto fotografico di queste giornate diverse ma ugualmente piene di attività e di gesti di affetto e di cura: la tavola imbandita, le uova di Pasqua, la partita a carte, il momento delle preghiere. Restituire il bene con il bene, il motto delle missionarie della dottrina cristiana. «La scelta di isolarci – riflette Giovanni – è una esperienza formativa e di crescita ma valorizza la nostra professione, i principi etici ai quali ci ispiriamo tutti i giorni. È come la guerra per il soldato…».
lucsam

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