Le case di riposo? «Fortini assediati senza munizioni», le definisce Mino Dentizzi, noto geriatra che da qualche tempo è presidente del Cda della “don Carlo Pistilli” di Campobasso.
Le strutture per le persone in là con l’età abbandonate al loro destino: «Somme di denaro come ristoro sono state erogate dal governo italiano ad innumerevoli categorie produttive, ma neppure un centesimo è stato destinato a sostenere la gestione delle strutture per anziani, afflitte da gravi disavanzi economici a causa dei diminuiti incassi e dell’ingente aumento delle spese (acquisto di mascherine, igienizzanti, camici, calzari, cuffie, ecc.)», sostiene Dentizzi.
Devono provvedere in proprio, afferma il geriatra, così come spesso ha ribadito «chi gestisce la sanità regionale: le case di riposo non appartengono alla rete dei servizi sanitari. Allo stesso tempo, però, sono state emanate linee guida da osservare che hanno procurato ancora di più aggravio dei costi e aumento dei carichi di lavoro per gli operatori».
Dentizzi ne ha pure per le amministrazioni comunali: «Molte – spiega – anziché sostenere le residenze per anziani del loro territorio, le hanno incolpate di cattiva gestione, di servizi di cura e assistenza manchevoli, di incompetenza».
Il personale scappa alla prima occasione: «In particolare gli infermieri accettano proposte di lavoro negli ospedali, anche fuori regione, dove la retribuzione economica è superiore, con la conseguente difficoltà, se non impossibilità, a reperire sostituti, anche per la persistente carenza di operatori sanitari e socio-sanitari qualificati. Chi è rimasto al lavoro nelle strutture – aggiunge il geriatra -manifesta stanchezza, frustrazione, insoddisfazione: il personale si sente abbandonato, ma resiste».
Il medico conclude con un’amara constatazione: infettivologi, pneumologi, virologi «furoreggiano sulla stampa, in tv, in radio, sui social con ogni varietà di opinioni, valide o insipide, mai però un cenno alle case di riposo, alle migliaia di anziani in carne e ossa che ospitano, alle loro vite di sofferenze, di infermità, di non autonomia, alle loro necessità di risposte consone di assistenza e cura. Solo chi ci lavora – conclude Dentizzi – continua a prenderne le parti. I pochi operatori tentano con ogni mezzo di fare emergere le loro esigenze, ma la loro voce non trova orecchie interessate, né animi ricettivi».

























