Il titolare di una gioielleria si è visto respingere la richiesta di contributo a fondo perduto, previsto da uno degli avvisi emanati dalla Regione per aiutare il tessuto economico colpito dal Covid, perché dalla visura camerale è emerso che la sua attività ha anche codici Ateco non sospesi. Lo stop causa lockdown della vendita di orologi, gioielli e argenteria non basta secondo l’istruttoria regionale.
Quel titolare della gioielleria si è rivolto allo studio Di Pardo e proposto ricorso al Tar ottenendo la sospensiva e il riesame della sua domanda.
Lo stesso è accaduto, con le medesime motivazioni di rigetto dell’istanza, a un gruppo imprenditoriale che si occupa di noleggio di strutture e attrezzature per manifestazioni e spettacoli che, attraverso l’istanza curato dallo studio Coromano pure ha ottenuto il riesame della propria posizione.
Si tratta di alcuni dei ricorsi già accolti e si tratta dei primi ricorsi rispetto ad altri che sono in itinere. L’avviso in questione è quello denominato “Agevolazioni per supportare le imprese e favorire la ripresa produttiva”. In particolare, il tribunale amministrativo regionale ha stabilito, a partire dalla ratio della norma «che è quella di sostenere i privati che hanno subito rilevanti danni economici a causa delle eccezionali misure restrittive introdotte dal dpcm 22 marzo 2020 per far fronte all’emergenza pandemica da Covid-19», che in base a questo principio non è possibile escludere gli operatori economici che, «pur avendo sospeso il codice Ateco corrispondente all’attività effettivamente esercitata, hanno attivi codici Ateco relativi ad attività non esercitate al momento dell’entrata in vigore del predetto dpcm o comunque relativi ad attività del tutto marginali, anche dal punto di vista economico, rispetto alla principale attività svolta; e ciò anche alla luce di una interpretazione sistematica delle norme di sostegno per il contrasto dell’emergenza pandemica». Tutto questo, anche per «i principi di collaborazione e buona fede» che dovrebbero indurre l’amministrazione «ad attivarsi per richiedere tutte le informazioni che siano necessarie per una completa valutazione delle istanze dei privati, tanto più, in casi come quelli in esame, in cui si tratta di ristorare i privati del pregiudizio economico subito, sia pur per un periodo determinato, per garantire la tutela del superiore interesse pubblico della salute».
Il collegio quindi ha ordinato alla Regione di riesaminare rapidamente il diniego di concessione dei contributi poiché, pur venendo in rilievo un contributo economico, il pregiudizio lamentato non può definirsi meramente patrimoniale, «in quanto in grado di incidere sulle stesse possibilità di prosecuzione dell’attività di impresa, tenuto conto dell’eccezionalità dei danni economici che sono derivati alle imprese che hanno visto una chiusura forzata della propria attività, come peraltro attestato dai provvedimenti di concessione del contributo, tanto più in ragione della crisi economica in atto, causata e aggravata dal perdurare dell’emergenza pandemica».
Gli avvocati Salvatore e Giuliano Di Pardo e l’avvocato Coromano, coi rispettivi studi, si sono dunque dichiarati soddisfatti per il risultato raggiunto, evidenziando anche come le ordinanze contengano anche la prima applicazione giurisprudenziale del principio di “leale collaborazione” nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione introdotto dalla legge 241/90.

r.i.

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