«Non voglio vendette, non voglio incolpare nessuno. Voglio la verità, voglio sapere se mia moglie si poteva salvare. Io penso di sì… Lo voglio per lei innanzitutto, perché non merita una morte così. E per i nostri figli».
Dino Ricci ancora non riesce a credere che Silvana se ne sia andata. «Quando mi chiamarono da Atri e mi dissero che purtroppo non ce l’aveva fatta, speravo di poterla almeno rivedere, invece neanche questo è stato possibile».
Silvana Di Fiore aveva 51 anni, «era sempre solare, era forte. Se aveva mal di schiena, continuava a lavorare e non si lamentava. Per lamentarsi lei, voleva dire che la situazione era grave. Purtroppo lo è stata». Era operatrice in una struttura per anziani del paese. Era rientrata al lavoro intorno al 10 novembre, dopo un periodo di quarantena osservato insieme al marito perché erano stati a Torino. Negativi ai tamponi effettuati privatamente, Dino e Silvana avevano scelto la massima precauzione. Lui è un dipendente di Molise Acque, lei assisteva le persone più fragili e vulnerabili. «Al lavoro è rientrata sana», ricorda oggi il marito. All’interno della casa di riposo di Scapoli fu poi individuato un cluster, quattro vittime e una quarantina di ospiti contagiati, ha ricostruito ieri Il Messaggero Abruzzo che ha raccolto la testimonianza del figlio della coppia Luigi.
Arrivarono i primi sintomi sospetti, i consulti solo telefonici del medico di base, che non andò a casa a visitarla ma le prescrisse antibiotico e cortisone. La famiglia Ricci decise di sottoporsi privatamente a un altro tampone: figlia e marito negativi, Silvana invece aveva contratto il virus SarsCov2. A quel punto, il medico di base, da lei informato, le consigliò di iniziare la terapia con l’ossigeno. «Dal 24 novembre non si è capito più niente. Il giorno dopo lei stava male, non poteva respirare. Chiamai il 118 e dovetti insistere perché venissero. Le avevo comprato il saturimetro e saturava a 89, 90, 91. I sanitari del 118 le misurarono l’ossigenazione con il loro saturimetro e ci dissero che il nostro andava due punti indietro. Lei si rincuorò: vuol dire che allora se segna 90 è 92, diceva… Non aveva febbre. Quindi ci dissero che stava così perché era agitata, un attacco di panico, che non era il caso di andare in ospedale ma poteva continuare la cura a casa. Poi però la saturazione scese e l’indomani mattina la misi in macchina e la portai a Castel di Sangro. Rischiando, certo. L’Abruzzo era pure zona rossa. Le fecero la Tac e da lì si capì che la situazione era grave».
Naturalmente non fu facile farla prendere in carico dall’ospedale abruzzese, Silvana era assistita di un’altra Asl, quella unica del Molise. «Sì, ci fecero un po’ di storie», conferma Dino. Che evidentemente dovette insistere molto, disperato. E la Tac era preoccupante: «Ci dissero poi che un polmone era già completamente compromesso. Quindi, decisero di ricoverarla ad Atri», l’ospedale Covid più vicino. Dove Silvana è rimasta dieci giorni. «Chiamavo tre volte al giorno, hanno fatto di tutto per salvarla e per evitare di intubarla. Prima di arrivare a quello hanno provato tutto, anche quando già era andata in terapia intensiva. Lunedì 7 dicembre però squillò il telefono e quando vidi il prefisso ebbi subito un brutto presentimento. Speravo di rivederla almeno un’ultima volta ma non è stato così».
Il giorno della morte della 50enne di Scapoli per Covid, in Molise la notizia arrivò subito, per poi scoprire che era deceduta in provincia di Teramo. Che nel bollettino dell’Asrem lei non c’era neanche perché in Molise non era stata considerata in condizioni da ricovero ospedaliero. Sui fatti, ha scritto il Messaggero nell’articolo ripreso anche dal Mattino, indaga la procura di Isernia.
Dino, per parte sua, dice che non ha ancora deciso se e come procedere dal punto di vista legale. Deciderà insieme ai suoi figli. Sa però che per Silvana vuole giustizia. «Voglio sapere come sono andate le cose, sarà la legge a stabilire cosa è accaduto e se le cose potevano andare diversamente». Silvana se ne è andata in dieci giorni. «Questa storia non può finire così. Perché lei non lo merita. Non dico tanto per me, perché io non sono più il Dino di prima».
rita iacobucci



























E’ VERGOGNOSO che accadano abomini di questo tipo!!! E la gente pensa ai regali di Natale! Penso allo strazio della famiglia per una situazione inaccettabile. Mai più regione Molise: ha fallito su tutti i fronti, e più va avanti, più peggiora. Mai più!