Il “San Francesco Caracciolo” di Agnone è molto più di una struttura ospedaliera. È presidio di dignità, simbolo di resistenza e spartiacque tra due modelli di sanità: quello che guarda ai numeri, ai costi e agli standard; e quello che riconosce, nella capillarità dei servizi e nell’accessibilità delle cure, un diritto costituzionalmente garantito.
Se ne discute da anni, se ne scrive da mesi, e in queste settimane la questione è tornata con forza all’attenzione dell’opinione pubblica. Il merito va diviso tra chi, con passione e competenza, ha rilanciato il dibattito, come il giovane medico Gianluca Paglione, autore di una proposta concreta e articolata, e chi – come il consigliere regionale Andrea Greco – l’ha fatta propria portandola fino in Consiglio regionale, con una mozione che mira a riconoscere all’ospedale agnonese non solo il suo ruolo storico, ma anche una prospettiva futura concreta e innovativa.
Eppure, accanto all’entusiasmo, c’è una verità che non può essere ignorata: per cambiare davvero occorre procedere un passo alla volta, facendo i conti con la realtà normativa, amministrativa e logistica. Serve il sogno, ma anche il metodo.
Il progetto presentato da Paglione – l’inserimento dell’ospedale
nella rete formativa universitaria, la riattivazione delle sale operatorie in Day Surgery, lo sviluppo di una rete ambulatoriale con specialisti legati al territorio – è tutt’altro che utopico. Anzi, si ispira a modelli già applicati con successo in Abruzzo, come nel caso dell’ospedale di Ortona. Ma perché ciò accada ad Agnone, serve un cambio di passo sistemico, che coinvolga l’Università, la Regione, l’Asrem e – soprattutto – chi ha il potere di decidere.
È vero, come ha osservato Greco, che attualmente nessuno specializzando può operare ad Agnone perché l’ospedale non è parte della rete formativa Unimol. Ed è altrettanto vero che – senza questa integrazione formale – i bandi emanati dall’Asrem rischiano di rimanere sulla carta. Nessun medico sceglierà mai un posto senza tutele, senza futuro, e senza un minimo di prospettiva professionale.
Tuttavia, va anche riconosciuto che non bastano le buone idee. Serve una governance capace di renderle operative. Serve una cabina di regia che armonizzi le istanze del territorio con le rigidità del sistema sanitario nazionale. Serve, in altre parole, una politica del possibile.
E su questo punto non si può tacere. Quando il Movimento 5 stelle era al governo e la ministra della Salute era Giulia Grillo, qualcosa si poteva fare, ad esempio intervenendo sulle regole che impongono i parametri standardizzati anche a regioni fragili e commissariate come il Molise. Si potevano introdurre deroghe, strumenti di riequilibrio, provvedimenti straordinari. Nulla di tutto questo è stato fatto. E oggi si paga anche quella disattenzione.
A fronte di una Regione con le mani legate dal piano di rientro e da una cronica carenza di risorse, la sfida è costruire una proposta condivisa, concreta e graduale. Un’alleanza di buona volontà, al di là delle appartenenze politiche e delle strumentalizzazioni di parte.
Non sarà facile. In Molise i medici non vogliono venire, per mille ragioni: logistiche, professionali, familiari. Ma c’è chi tornerebbe anche gratis, come testimonia l’esperienza dello stesso Paglione. Non si può più ignorare il fatto che esista una comunità di professionisti pronta a mettersi a disposizione. Ma deve trovarsi nelle condizioni per farlo. Con contratti stabili, con ambienti di lavoro dignitosi, con una visione chiara e a lungo termine.
In questo contesto, l’ospedale di Agnone non ha bisogno di operazioni di facciata, né di incarichi spot a 80 euro l’ora per pensionati. Ha bisogno di progettualità. Di investimento sul capitale umano. Di un piano strutturato e monitorabile, che tenga insieme assistenza, formazione e territorio.
È un lavoro che richiede tempo, pazienza, determinazione. Ma è possibile. E soprattutto, è doveroso.
Perché un presidio in un’area disagiata non può essere valutato con la stessa logica di un hub metropolitano. Perché chi vive in montagna ha lo stesso diritto alla salute di chi vive in città. Perché la sanità, in fondo, è fatta per i cittadini. Non per far quadrare i conti.
Il “Caracciolo” non va salvato per nostalgia. Va rilanciato perché rappresenta l’unico argine allo svuotamento definitivo dell’Alto Molise. Serve passione, certo. Ma anche responsabilità, realismo e impegno quotidiano.
Non bastano cento medici come Gianluca Paglione. Ma senza di lui, e senza chi come lui crede ancora che restare sia un atto di resistenza civile, ogni sforzo sarà vano. E ogni promessa, solo retorica.
La buona battaglia si può vincere. Ma solo se combattuta a testa alta, con i piedi ben piantati per terra.
Luca Colella