È un periodo “particolare”, scandito da un’inquietudine che da anni non trova tregua. Un’epoca segnata da guerre che insanguinano il mondo – l’Ucraina, il Medioriente, Gaza – e da tensioni che si riverberano nelle nostre piazze. Migliaia di persone hanno riempito le strade di Milano, Roma, Napoli, Firenze, Bologna nel volgere di pochi minuti, quando i militari israeliani hanno assaltato la Flotilla umanitaria diretta a Gaza. Un lampo, una scintilla che ha mostrato l’inquietudine latente di un Paese intero. Giovani, studenti, lavoratori esasperati sono scesi in piazza per dire che no, non va bene così.

E non si tratta soltanto di guerre lontane: il malessere è anche e soprattutto quotidiano. È la sanità che arranca, il lavoro che non ripaga, i trasporti insufficienti, i salari bassi e i costi esorbitanti che soffocano le famiglie. È la forbice che si allarga, tra chi ha troppo e chi sopravvive. È la politica che appare sempre più distante, distratta, incapace di ascoltare.

Il Molise, regione piccola e apparentemente quieta, vive questa condizione in maniera amplificata. Qui il tempo sembra sospeso: Roma appare irraggiungibile, e le difficoltà croniche pesano come macigni. Nonostante gli sforzi di Regione, commissari e Asrem la sanità resta al collasso.

Certo, ci sono segnali positivi – primari di valore che scelgono il Molise lasciando ospedali più grandi, reparti come Ostetricia e Ortopedia che tornano ad attrarre pazienti, eccellenze riconosciute a livello nazionale come il Responsible Research Hospital o il Neuromed – ma il quadro generale è quello di un sistema strozzato da regole pensate per realtà molto diverse dalla nostra.

Il presidente Roberti a fine mese incontrerà la premier Giorgia Meloni. Sul tavolo ci sarà la sanità, ancora una volta. Ma una cosa è chiara: più tagli e più ridimensionamenti non sono possibili. Immaginare un territorio come quello della provincia di Isernia senza una sala di emodinamica è pura follia. Le condizioni viarie, il clima, la dispersione demografica, non sono comparabili con quelle della Lombardia o dell’Emilia. Eppure lo Stato continua a misurare tutto con lo stesso metro.

Serve un cambio radicale. Il Molise non può più essere trattato come una regione “ordinaria”: non ne ha i numeri, non ne ha le condizioni. Deve essere equiparato alle regioni a Statuto speciale, altrimenti è condannato. Perché i costi di gestione di una sanità in un territorio fragile e frammentato non sono gli stessi delle grandi regioni industrializzate. E perché continuare a considerare crediti come debiti – le somme che il Molise anticipa per curare pazienti provenienti da altre regioni – significa falsare i conti e perpetuare un’ingiustizia che strangola la comunità.

Dopo oltre 15 anni di commissariamento, il bilancio è chiaro: lo Stato ha fallito. Non per colpa dei commissari, ma per un sistema che non funziona. È arrivato il tempo di dire basta.

Il malcontento cova sotto la cenere: silenzioso, non urlato, ma reale. Ed è forse questo il segnale più pericoloso. Perché anche il popolo più pacifico, schivo, sano, quando la misura è colma diventa indomito.

Il viaggio della speranza del presidente Roberti a Roma, a fine ottobre, deve essere l’ultimo. O da lì prenderà forma un cambio di rotta concreto, oppure il Molise sarà definitivamente condannato.

Chi vive in questa terra è stanco, sfinito. Davvero.

Luca Colella

(immagine generata con AI)

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