In un’Italia che assiste in silenzio allo svuotamento delle aree interne, c’è ancora chi resiste. Chi sceglie di non voltarsi dall’altra parte.
Il dottor Gianluca Paglione, giovane medico di Agnone, specializzando in Geriatria a Chieti, incarico a tempo determinato in continuità assistenziale presso il Caracciolo, è uno di questi. Mentre molti lasciano il Molise in cerca di strutture più attrezzate, lui ha deciso di restare o quanto meno tornare. E di lottare. Ha messo nero su bianco una proposta concreta, fondata su esperienza, studio e passione. Un piano che – se ascoltato – potrebbe cambiare il destino del “Caracciolo”. Non è un’utopia, ma un progetto fondato su esempi virtuosi già esistenti. E, soprattutto, è una chiamata alla responsabilità collettiva.
Dottor Paglione, partiamo dal cuore della sua proposta. In Consiglio comunale ha presentato un piano articolato per rilanciare il presidio ospedaliero di Agnone. Ce lo spiega nei suoi punti essenziali?
«Il punto di partenza è semplice, ma determinante: l’inserimento dell’ospedale di Agnone nella rete formativa dell’Università del Molise. Sembra un passaggio tecnico, e in parte lo è, ma le sue ricadute sarebbero enormi. Per capirlo basta guardare cosa accade già in altri presidi molisani, compresi quelli privati come la clinica Villa Maria. Sono realtà convenzionate in cui i medici in formazione specialistica possono fare tirocinio e, in alcuni casi, contribuire all’attività assistenziale. Oggi questo non è possibile ad Agnone. Nessun giovane medico specializzando può essere inviato qui, neanche se lo volesse. E non per mancanza di volontà, ma per un puro fatto amministrativo: il Caracciolo non è inserito nella rete formativa Unimol, quindi nessun direttore di scuola può autorizzare il trasferimento. Inserirlo nella rete non comporta alcun costo aggiuntivo per l’Asrem, ma spalancherebbe le porte a decine di medici giovani, motivati, competenti. È un’occasione straordinaria per far ripartire l’ospedale».
«Il secondo punto riguarda la riattivazione e il potenziamento delle sale operatorie, che potrebbero diventare il fulcro di un’offerta chirurgica in Day surgery, ossia con interventi a bassa complessità che non richiedono ricovero prolungato. La struttura è già predisposta per accogliere questo tipo di attività, e vi sono medici disponibili a contribuire, anche da fuori regione».
«Infine, il terzo pilastro è la costruzione di una rete ambulatoriale territoriale qualificata: ambulatori di cardiologia (per ipertensione e dislipidemie), odontoiatria, obesità, supporto psicologico, e, soprattutto, un ambulatorio Gico (Gruppo interdisciplinare cure oncologiche), dove pazienti oncologici possano ricevere diagnosi e orientamento terapeutico con un approccio multidisciplinare».
In questo progetto, c’è anche un coinvolgimento diretto di medici originari del territorio. Che tipo di risposte ha ricevuto finora?
«Le risposte mi hanno profondamente commosso. Non esagero quando dico che ho trovato una rete invisibile ma fortissima di professionisti che, nonostante abbiano fatto carriera altrove, non hanno mai smesso di sentirsi legati a questa terra. Un esempio su tutti è la dottoressa Celeste Del Basso, chirurga oncologica stimata, oggi in Piemonte e con significanti esperienze all’estero. Quando le ho chiesto se sarebbe disposta a tornare ad Agnone anche solo una volta al mese, la sua risposta è stata: “Ci vengo pure gratis”. Nessuno ci credeva. Alcuni mi avevano persino sconsigliato di contattarla. Ma io l’ho fatto, senza intermediari: ho fermato il padre per strada, mi sono fatto dare il numero. E lei ha detto sì. Potrà essere una figura chiave per l’ambulatorio oncologico. Poi c’è il mio amico Fabrizio Cristiano, nefrologo. Anche lui ha dato la disponibilità a rientrare, a lasciare incarichi più comodi pur di dare una mano al suo paese. Queste storie dimostrano che non è una questione di soldi. È una questione di appartenenza, di identità, di senso del dovere».
Il tempo stringe. L’8 agosto due medici lasceranno il reparto di Medicina. Cosa accadrà?
«Accadrà che il reparto chiuderà. E se chiude Medicina, il “Caracciolo” rischia di diventare un guscio vuoto. Per questo dico che non c’è più tempo da perdere. Non servono promesse vaghe o progetti a lungo termine. Servono atti immediati, concreti, praticabili. Eppure, ci sono giovani colleghi disposti a venire subito. Ma devono avere una prospettiva chiara. Nessuno lascia una sede comoda per un ospedale senza futuro. È qui che entra in gioco la politica: deve creare le condizioni, dare garanzie, rimettere Agnone in rete. Solo così possiamo invertire la rotta».
C’è chi la definisce un sognatore. Lei come si definirebbe?
«Non mi sento un sognatore. O meglio: non sogno a occhi chiusi. Quello che propongo è già stato fatto altrove. Non ho inventato nulla. Mi sono semplicemente ispirato a modelli funzionanti, come quello dell’ASL Lanciano-Vasto-Chieti. Lì, in provincia di Chieti, hanno salvato l’ospedale di Ortona in pochi giorni. Non con magie, ma con volontà politica e buon senso».
Ci racconta proprio il caso di Ortona?
«Fino a poco tempo fa l’ospedale di Ortona era considerato in declino. Poi, nel gennaio 2023, è stato trasformato in un reparto misto di medicina e lungodegenza, grazie a un accordo con l’Università d’Annunzio. Dieci giorni. Tanto è bastato per riaccendere la speranza. Nessun investimento milionario, nessuna rivoluzione. Solo una decisione presa e attuata. Perché lo stesso non potrebbe succedere ad Agnone? Cosa abbiamo in meno? Nulla. Abbiamo medici, competenze, strutture. Serve solo coraggio».
Lei è molto giovane. Eppure ha deciso di esporsi con forza. Perché lo fa?
«Perché me lo sento dentro. Perché non potrei fare altrimenti. Quando iniziarono a smantellare l’ospedale, ero ancora uno studente. Ricordo che dissi a me stesso: “Un giorno, se sarò medico, farò qualcosa”. Ora lo sono. E non potrei guardarmi allo specchio se restassi in silenzio. Faccio la guardia medica qui. Vivo la solitudine e l’abbandono di questi luoghi. Ogni giorno. Ho il dovere di provarci».
Parliamo di politica. Come stanno rispondendo le istituzioni?
«Ho interpellato il sindaco, i consiglieri comunali, i rappresentanti regionali. Alcuni mi hanno ascoltato con attenzione, altri meno. Ringrazio il consigliere Vincenzo Scarano, l’assessore Andrea Di Lucente, il consigliere Andrea Greco, che da anni si batte a difesa della struttura – la sua lettera mi ha profondamente toccato – e anche l’ex sindaco Lorenzo Marcovecchio e l’oculista Cristina Savastano, che mi hanno dato preziosi consigli. Ma il bando dell’Asrem del 2 luglio è stato un colpo al cuore: chiede ai medici di venire ad Agnone, ma senza che Agnone sia nella rete formativa. È una contraddizione che rischia di vanificare tutto».
In Consiglio comunale ha sottolineato l’assenza dei medici del Caracciolo. Perché questo passaggio?
«Non volevo accusare nessuno. Ma mi ha colpito l’assenza del personale ospedaliero. Chi lavora al Caracciolo dovrebbe essere in prima linea. Non possiamo lasciare che a difendere l’ospedale siano solo i cittadini o qualche medico di passaggio. Serve una mobilitazione collettiva, come quella che ebbe il coraggio di portare avanti Natalino Sammartino quando chiusero la cucina. L’ospedale va difeso non solo per i posti di lavoro, ma per il diritto alla salute. Non è più tempo di silenzi».
Come reagire allo spopolamento, non solo sanitario, dell’Alto Molise?
«Sogno una marcia silenziosa sul Viadotto Sente, che è simbolo di ciò che ci viene tolto: i collegamenti, la salute, la speranza. Una “prova di carico”, sì, ma soprattutto una prova di dignità. Dobbiamo mostrarci uniti, vivi. Non solo come pazienti, ma come comunità. Dedico questa battaglia a tutte le persone che ho incontrato durante il mio lavoro in guardia medica. A Luca, ragazzo con spettro autistico; ad Anis, che ho soccorso prima della sua tragica morte; al piccolo Ermanno Latino e al signor Gennaro Bartolomeo, persone che mi hanno insegnato cosa significa essere medico. Questa è una buona battaglia. E io non ho alcuna intenzione di smettere di combatterla».
M.d’O.