E’ una ex studentessa del liceo scientifico ‘Giovanni Poalo I’ di Agnone la prima autrice di uno studio che, secondo la comunità scientifica, potrebbe rappresentare una rivoluzione nella medicina. La dottoressa Mastrangelo, sposata con un agnonese, ha lasciato l’Alto Molise e Vastese, l’Italia e lavora al Cnic di Madrid, il Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares spagnolo appunto, e fa ricerca. Il suo cervello, i suoi studi e la sua determinazione a disposizione della scienza, non nella sua terra, dove forse le opportunità non sono sempre a disposizione dei meritevoli, ma nel regno di Spagna. Il “caso” sembra quello che, secondo i luoghi comuni, potrebbe rientrare nella casistica della “fuga di cervelli”, ma anche la dimostrazione che le scuole di montagna, come il liceo agnonese, offrono solide basi intellettuali. Tornando allo studio, le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte a livello mondiale e spesso hanno origine nell’aterosclerosi, un indurimento e restringimento delle arterie dovuto a infiammazione e accumulo di grasso nelle pareti arteriose. Sebbene vengano controllati fattori come il colesterolo, l’ipertensione o il fumo, è fondamentale la diagnosi precoce della malattia. I nuovi risultati, guidati dal CNIC e pubblicati sulla rivista Nature, hanno identificato che un metabolita prodotto da batteri intestinali, il propionato di imidazolo (ImP), è rilevabile nel sangue già nelle fasi iniziali dell’aterosclerosi attiva. Questo metabolita, «è prodotto esclusivamente da batteri intestinali», spiega Annalaura Mastrangelo, ricercatrice del CNIC e prima autrice dello studio. «In questa ricerca abbiamo osservato che la sua presenza nel sangue è associata allo sviluppo di aterosclerosi attiva in soggetti apparentemente sani». Ciò che rende importante questa scoperta, sottolinea la dottoressa Mastrangelo, è che «rilevare questo marcatore nel sangue rappresenta un grande vantaggio, dato che le attuali tecniche diagnostiche richiedono esami di imaging avanzati, complessi e costosi, non coperti dal sistema sanitario. I livelli di ImP nel sangue offrono un marcatore diagnostico utile per identificare persone sane con aterosclerosi attiva e permettere un trattamento precoce». Ma la scoperta va oltre. Iñaki Robles-Vera, anch’egli primo autore dello studio, aggiunge: «Non solo abbiamo osservato che i livelli di ImP sono elevati nelle persone con aterosclerosi, ma che è un agente causale della malattia. La somministrazione di ImP ha provocato la formazione di placche nelle arterie in modelli animali di aterosclerosi. L’ImP attiva il recettore imidazolinico di tipo 1 (I1R), generando un aumento dell’infiammazione sistemica che contribuisce allo sviluppo dell’aterosclerosi». Per David Sancho, responsabile del Laboratorio di Immunobiologia e leader dello studio, «questa scoperta è importante perché apre una nuova via terapeutica». Nello studio pubblicato su Nature, aggiunge, è stato dimostrato che l’uso di bloccanti del recettore I1R previene l’induzione dell’aterosclerosi da parte di ImP e riduce la progressione della malattia in modelli murini alimentati con una dieta ricca di colesterolo. “Questo apre la prospettiva futura di un trattamento combinato: blocco di I1R insieme al blocco della produzione di colesterolo, con l’obiettivo di ottenere un effetto sinergico che prevenga lo sviluppo dell’aterosclerosi”, afferma il dottor Sancho. Questi risultati, aggiunge, «aprono nuove possibilità per una diagnosi precoce e un trattamento personalizzato dell’aterosclerosi. In futuro, anziché focalizzarsi solo sul colesterolo e altri fattori classici, si potrebbe analizzare la presenza di ImP nel sangue come segnale di rischio. Al CNIC stiamo già lavorando allo sviluppo di farmaci che blocchino gli effetti dannosi dell’ImP».

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