Qui, tra i monti dell’Alto Molise, la speranza ha preso le sembianze di un infermiere, di un autista, di un cittadino qualunque disposto a caricarsi sulle spalle la responsabilità di una vita. Da tempo, quando cala la notte, sulle strade che portano da Capracotta, Sant’Angelo del Pesco e Agnone verso l’ospedale di riferimento, a bordo dell’ambulanza del 118 non c’è più un medico. A decidere della sorte di un paziente è la distanza, il cronometro, e una lunga catena di approssimazioni istituzionali che sta lasciando scoperta una delle zone più fragili della regione.
Il quadro è drammaticamente chiaro: chi viene colpito da un infarto nelle ore notturne ha davanti a sé un’odissea che nulla ha a che vedere con la modernità di un servizio sanitario civile. Tre episodi recenti, in rapida successione, raccontano molto più di mille denunce.
Infarto a Capracotta. Un uomo di 47 anni, colpito da infarto a Capracotta, chiama aiuto dopo mezzanotte. L’ambulanza parte dal “Caracciolo” di Agnone. Ci vogliono 25 minuti solo per raggiungere il paziente. Poi, la folle discesa tra i tornanti appenninici. Ma l’ambulanza non può proseguire: a bordo non c’è un medico. E allora, il passaggio di consegne: nei pressi di Agnone, un secondo mezzo arriva da Trivento, dove invece il medico c’è. Scatta il trasbordo del “pacco”, come qualcuno amaramente lo ha ribattezzato e via verso Campobasso, mentre le lancette corrono e il cuore si spegne. Circa due ore dopo, finalmente, si entra al Cardarelli. L’intervento chirurgico riesce. Ma quanta sofferenza evitabile, quanta inefficienza istituzionale.
La golden hour va a farsi benedire. Stessa storia, altro volto. Una donna di 72 anni ad Agnone viene colpita da un infarto alle prime luci dell’alba. L’ambulanza parte, ma ancora una volta è priva del medico. Il tempo scorre inesorabile. L’emodinamica di Isernia – teoricamente il primo presidio di riferimento – è “a corrente alternata”: oggi sì, domani chissà. Da Campobasso parte un altro mezzo, con medico a bordo, e lungo la Trignina avviene il secondo passaggio. È una corsa contro il tempo, ma la famosa golden hour, quel lasso di un’ora che può fare la differenza tra la vita e la morte, è ormai sfumata. La donna si salva, ma a quale prezzo?
Vergogna in pieno centro. Il terzo episodio è quasi surreale. Una donna si accascia nel pieno centro di Agnone, sotto il sole cocente del pomeriggio. L’ambulanza? Impegnata altrove. I minuti passano, e con loro la dignità di chi ancora crede di avere diritto a un’assistenza sanitaria. Sono i Carabinieri ad agire. Dopo più di mezz’ora, si avvalgono della disponibilità di un’auto privata. L’automobilista carica la donna e la porta d’urgenza al “Caracciolo”. Lì, in quel Pronto soccorso che la politica vorrebbe smantellare.
Non siamo di fronte a semplici episodi di cronaca: siamo davanti a una struttura sanitaria che si sgretola. L’assenza del medico a bordo nelle ore notturne non è un disguido. È una precisa scelta politica e amministrativa, fatta sulla pelle dei cittadini delle aree interne.
L’emodinamica di Isernia, che dovrebbe essere un punto di riferimento, funziona “a corrente alternata”, una definizione impietosamente precisa. E così, l’unica salvezza diventa il Cardarelli di Campobasso, raggiungibile in condizioni ideali in poco più di un’ora. Ma quando il tempo stringe, ogni curva può diventare fatale. E se fosse capitato d’inverno?
A pagare sono sempre gli stessi: gli abitanti delle aree periferiche, gli invisibili delle montagne, quelli che non fanno rumore perché troppo stanchi, troppo rassegnati. Intanto, i tagli continuano, le postazioni si svuotano, i medici non ci sono. E il sistema sanitario, un tempo fiore all’occhiello del Paese, si trasforma in un labirinto kafkiano in cui sopravvivere è una questione di fortuna.
Chi ha deciso che la vita in montagna vale meno?La politica tace o balbetta. Le risposte concrete non arrivano. L’Asrem, la Regione, i rappresentanti istituzionali: tutti complici, nella migliore delle ipotesi per inerzia, nella peggiore per cinismo.
Perché continuare a tagliare servizi vitali in territori già fragili non è solo una scelta tecnica: è un crimine morale. E allora, quando la prossima sirena squillerà nella notte, speriamo che ci sia almeno qualcuno in ascolto. Perché in Alto Molise, oggi, per sopravvivere serve davvero un miracolo.