E’ stata formalizzata la mozione di sfiducia alla sindaca Contucci, che peraltro ha visto anche il ritorno all’unità d’intento della minoranza, a Montenero di Bisaccia: «Uso improprio del potere pubblico, il mandato è ormai insostenibile», la critica severa, verso una sindaca che andrebbe al tagliando elettorale nella prossima tarda primavera. È un atto senza precedenti quello che si sta consumando nel Comune di Montenero di Bisaccia. Sei consiglieri comunali hanno formalmente depositato una mozione di sfiducia nei confronti della Sindaca Simona Contucci, innescando una crisi politica profonda e potenzialmente irreversibile. La decisione, assunta ai sensi dell’articolo 52 del Testo Unico degli Enti Locali, arriva al termine di una vicenda che ha sollevato interrogativi pesanti sul rispetto dei principi costituzionali, sulla gestione dei dati personali e, soprattutto, sull’uso del potere istituzionale. Tutto parte da una denuncia pubblica, resa nota da un cittadino residente a Montenero da pochi mesi, che il 27 giugno ha diffuso un video sui social in cui racconta un episodio tanto singolare quanto inquietante. Dopo aver espresso su Facebook un commento critico – ma definito “civile e legittimo” – nei confronti dell’amministrazione comunale, l’uomo ha dichiarato di essere stato contattato telefonicamente dalla stessa Sindaca. Il dettaglio che ha fatto scattare l’allarme è che il cittadino sostiene di non conoscere la Sindaca e di non averle mai fornito il proprio numero di telefono. Una telefonata che, a detta dell’uomo, ha assunto i contorni di un’intrusione ingiustificata nella propria sfera privata, tanto da spingerlo a chiedere formalmente – con una nota protocollata in Comune – di conoscere l’origine e la legittimità del trattamento del suo dato personale. La richiesta, però, a distanza di settimane non ha ricevuto alcuna risposta né dalla Sindaca né dagli uffici municipali. Un silenzio assordante, che ha aggravato ulteriormente la percezione di un gesto lesivo dei diritti civili. Il 30 giugno, sei consiglieri comunali – Andrea Cardinali, Giulia D’Antonio, Fabio De Risio, Gianluca Monturano, Nicola Palombo e Tania Travaglini – hanno presentato un Ordine del Giorno urgente per chiedere che l’episodio venisse discusso in Consiglio Comunale. Obiettivo: ottenere chiarimenti pubblici e istituzionali, come richiede la trasparenza amministrativa. Ma anche in questo caso, l’istanza è stata respinta. Il Presidente del Consiglio ha rigettato la richiesta, adducendo ragioni di natura procedurale e sottolineando la presunta mancanza di tempi adeguati per inserire il punto all’ordine del giorno. Una chiusura che ha ulteriormente esasperato il clima, alimentando il sospetto di una volontà politica di evitare un confronto aperto su un tema così delicato. Così, i sei firmatari hanno deciso di passare all’atto più drastico previsto dalla legge: la mozione di sfiducia. Nel documento ufficiale, protocollato e inviato anche al Prefetto di Campobasso per le valutazioni di competenza, i consiglieri esplicitano in modo dettagliato le motivazioni che li hanno condotti a chiedere la fine del mandato della sindaca Contucci. Non si tratta, precisano, di un errore amministrativo, ma di un comportamento politico e istituzionale che «oltrepassa la soglia della legittimità democratica». «Il potere pubblico – si legge nella mozione – non può essere esercitato per intimidire chi esprime dissenso. Il numero di telefono è un dato personale, tutelato dal Regolamento europeo Gdpr e può essere trattato solo per fini legittimi, trasparenti e documentati». L’assenza di risposte formali e l’impossibilità di discutere la vicenda in aula rappresentano, per i proponenti, una ferita insanabile nel patto di fiducia tra cittadini e istituzioni. La mozione richiama direttamente l’art. 52 del D.Lgs. 267/2000, che disciplina il meccanismo della sfiducia nei confronti del Sindaco: affinché la mozione sia approvata, occorre il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri, espresso per appello nominale. Qualora venga accolta, il Consiglio Comunale viene automaticamente sciolto e si procede con la nomina di un Commissario. Al di là degli aspetti procedurali, però, il cuore della vicenda è eminentemente politico e costituzionale. “La libertà di espressione, garantita dall’art. 21 della Costituzione – si legge ancora – non può trasformarsi in causa di esposizione a contatti privati da parte di chi ricopre ruoli pubblici”. Una telefonata da parte del vertice dell’amministrazione comunale, in risposta a un post critico pubblicato da un cittadino, viene interpretata come un gesto di pressione politica, con un impatto potenzialmente intimidatorio. Il caso, inizialmente circoscritto alla comunità locale, ha rapidamente assunto un rilievo nazionale. L’Osservatorio Repressione ha infatti rilanciato la vicenda come esempio di possibile abuso del potere istituzionale e ha raccolto, a seguito della denuncia, ulteriori testimonianze informali di cittadini che in passato avrebbero vissuto episodi analoghi. Nessuna denuncia pubblica era però mai emersa con questa chiarezza. Il comunicato congiunto dei consiglieri firmatari è netto: «Non presentiamo questa mozione per cercare consensi – scrivono – ma perché difendere i diritti è un dovere che abbiamo scelto con la candidatura. E non intendiamo venir meno a questa responsabilità». Adesso, la mozione dovrà approdare ufficialmente in Consiglio comunale, in una seduta che, per legge, dovrà tenersi non prima di dieci giorni e non oltre trenta dalla data del deposito (ieri, 15 luglio). La sindaca Contucci, dal canto suo, non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali sull’episodio né sulle contestazioni mosse dai sei consiglieri. Il destino dell’amministrazione si gioca ora sui numeri e sulla capacità di tenuta della maggioranza. Ma la vicenda, comunque vada, ha già lasciato un segno indelebile sulla tenuta democratica del confronto tra istituzioni e cittadini. Per molti, la questione sollevata non è solo un caso locale, ma un campanello d’allarme sulle modalità con cui il potere viene esercitato e percepito. Al di là delle dinamiche interne al Consiglio di Montenero, il caso solleva una questione più ampia e universale: fino a che punto chi amministra può agire nella sfera privata di un cittadino che critica? E quali sono i confini invalicabili del potere pubblico in una democrazia?

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