Vanno avanti le indagini sull’aggressione ai danni di un quindicenne avvenuta nei giorni scorsi a Santa Croce di Magliano. I carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Campobasso, hanno avviato una serie di audizioni per ricostruire nel dettaglio quanto accaduto e chiarire le responsabilità. Nelle ultime ore i militari dell’Arma hanno iniziato ad ascoltare in caserma amici, coetanei e compagni di classe del ragazzo aggredito. Si tratta di passaggi ritenuti fondamentali per definire il contesto in cui sarebbe maturata la violenta aggressione, culminata in un pestaggio che ha destato forte allarme in paese, anche per la successiva diffusione di un video dell’episodio all’interno di alcune chat. Secondo le prime informazioni emerse, all’origine dei fatti ci sarebbe un episodio avvenuto a scuola, durante una interrogazione. Da lì sarebbero nati equivoci e discussioni tra alcuni studenti, proseguiti anche fuori dall’ambiente scolastico. Una tensione che, sempre secondo quanto al vaglio degli inquirenti, sarebbe poi sfociata in un incontro serale tra i vicoli del centro abitato. È in quel frangente che il quindicenne sarebbe stato accerchiato e colpito. La dinamica precisa dell’aggressione è ancora in fase di accertamento e resta oggetto di verifica da parte degli investigatori, che stanno incrociando testimonianze e riscontri. Determinante, in questo senso, anche l’analisi del video che documenterebbe il pestaggio e che è circolato rapidamente sui telefoni di diversi ragazzi. La Procura dei minori mantiene il massimo riserbo sull’inchiesta, anche in considerazione della giovane età delle persone coinvolte. Al momento non vengono formulate ipotesi ufficiali né indicati eventuali responsabili, in attesa che il quadro venga definito in maniera completa e attendibile. L’attenzione degli inquirenti è rivolta non solo all’episodio in sé, ma anche ai giorni precedenti, per capire se vi siano stati segnali, contrasti o episodi che possano aver contribuito a innescare l’escalation di violenza. In questa fase, l’ascolto dei compagni di classe e dei coetanei rappresenta uno strumento centrale per chiarire rapporti, dinamiche e ruoli. Intanto, ieri c’è stato l’acceso e atteso confronto in municipio: la comunità di fronte alla violenza dei più giovani. Doveva essere un incontro di prevenzione, quasi ordinario nella sua impostazione: informare i cittadini, in particolare gli anziani, sui rischi delle truffe a domicilio, fornire strumenti di difesa, rafforzare il rapporto di fiducia con le istituzioni. Ma quello che si è svolto nella sala consiliare del Comune di Santa Croce di Magliano si è trasformato rapidamente in qualcosa di molto più serio e lacerante: una resa dei conti pubblica con una paura che da settimane attraversa il paese e che ha un nome preciso, anche se difficile da pronunciare senza imbarazzo — baby gang.
La sala era piena, colma come non accadeva da anni. Un dato che da solo racconta la portata del problema. Non semplice curiosità, non rituale partecipazione, ma un bisogno collettivo di parlare, di capire, di essere ascoltati. Cittadini comuni, commercianti, famiglie, anziani: una comunità intera che ha deciso di portare dentro il luogo simbolo delle istituzioni un disagio che, fino a quel momento, si era consumato soprattutto per strada, nei silenzi, nei sussurri. L’incontro, promosso dall’Amministrazione comunale, si è aperto con l’intervento del sindaco Alberto Florio e del maresciallo Matteo Diamilla, comandante della stazione dei Carabinieri. Come previsto, si è parlato inizialmente di truffe agli anziani: un tema serio, concreto, che continua a colpire le fasce più fragili. Indicazioni pratiche, inviti alla prudenza, raccomandazioni a segnalare tempestivamente ogni episodio sospetto. Ma è stato chiaro fin da subito che quello sarebbe stato solo l’innesco. Nel giro di pochi minuti, il dibattito ha cambiato asse. Dalle truffe si è passati alla violenza. Dalle raccomandazioni alla paura. Dai consigli alla rabbia. I cittadini hanno iniziato a raccontare episodi che, messi insieme, compongono un quadro inquietante: aggressioni fisiche, minacce, richieste di denaro, intimidazioni ripetute. Non fatti isolati, ma una sequenza che ha lasciato il segno. Il racconto più duro riguarda l’aggressione a una persona invalida, finita in ospedale e oggi ospite di una struttura per anziani, profondamente provata anche sul piano psicologico. Un episodio che ha colpito nel profondo la sensibilità collettiva, perché rompe un tabù: quello secondo cui in un piccolo paese certe cose “non succedono”. Succedono, invece. E quando succedono, fanno più rumore. A emergere con forza è stato anche il clima che si è creato intorno a questi fatti. Non solo paura delle aggressioni in sé, ma timore di esporsi, di denunciare, di testimoniare. Alcuni interventi hanno denunciato apertamente pressioni esercitate sulle vittime affinché ritirassero le querele, minimizzazioni, giustificazioni che chiamano in causa direttamente il ruolo delle famiglie. Un punto delicatissimo, forse il più scomodo: perché qui il problema smette di essere solo di ordine pubblico e diventa culturale, educativo, comunitario. I protagonisti di queste vicende sono giovanissimi, in alcuni casi appena quattordicenni. Ragazzi del posto, conosciuti, inseriti in un contesto che dovrebbe proteggerli e invece, almeno in parte, sembra averli lasciati scivolare verso una logica di sopraffazione. Una “banda”, come è stata definita da più voci, che negli anni avrebbe già dato segnali attraverso atti vandalici e comportamenti intimidatori, rimasti spesso impuniti o sottovalutati. Il confronto non è stato semplice. In sala si sono registrati momenti di forte tensione, con accuse dirette, toni accesi, parole che tradivano esasperazione. Qualcuno ha puntato il dito anche contro le istituzioni e le forze dell’ordine, accusate di non fare abbastanza. Un disagio che il maresciallo Diamilla non ha eluso, ma ha ricondotto alla realtà: la disponibilità dell’Arma c’è, così come l’impegno quotidiano, ma senza denunce, senza collaborazione, senza testimonianze, ogni intervento diventa più difficile. E il rischio, ha ammonito, è quello di scivolare verso soluzioni pericolose, come la giustizia privata, che non porta sicurezza ma caos. Il sindaco Florio ha provato a tenere insieme i piani: riconoscere la gravità della situazione senza alimentare allarmismi, ribadire che il Comune non intende girarsi dall’altra parte, ma anche chiarire che non esistono risposte semplici. Ha parlato dei contatti avviati con la Prefettura e con i vertici provinciali dei Carabinieri, della richiesta di maggiore attenzione sul territorio, del ruolo dei servizi sociali. Ma soprattutto ha lanciato un messaggio politico chiaro: questo non è un problema che può essere scaricato su un’unica istituzione. Ed è forse questo il passaggio più importante emerso dall’incontro. La consapevolezza, condivisa da molti interventi, che Santa Croce è chiamata a una responsabilità collettiva. Le famiglie, la scuola, la parrocchia, le associazioni, il Comune, le forze dell’ordine: tutti devono fare la propria parte. Perché una comunità che tollera, giustifica o minimizza finisce per isolare le vittime e rafforzare chi usa la violenza. La sala consiliare piena è stata letta come un primo segnale di reazione. Non risolutivo, ma significativo. Una comunità che si guarda allo specchio e riconosce una ferita è una comunità che ha ancora gli strumenti per curarla. Ma il tempo delle parole, da solo, non basterà. Serviranno scelte, continuità, coraggio. Soprattutto quando si tratterà di rompere equilibri comodi e silenzi complici. Santa Croce di Magliano è davanti a una prova che va oltre la cronaca. Riguarda il modello di convivenza, il rapporto tra generazioni, il confine sottile tra comprensione e tolleranza dell’inaccettabile. L’incontro nato “contro le truffe” ha finito per dire una verità più grande: la sicurezza non è solo una questione di pattuglie, ma di comunità. E oggi quella comunità è chiamata a decidere chi vuole essere.
























