Fine: la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Pietro Ialongo, condannato a 24 anni di carcere per l’omicidio dell’ex fidanzata Romina De Cesare. Il verdetto definitivo è arrivato ieri, dopo l’udienza svoltasi in mattinata, ponendo la parola fine sulla vicenda giudiziaria a tre anni dal delitto che sconvolse Frosinone e Cerro al Volturno, la città dove i due vivevano in via del Plebiscito e il paese molisano d’origine di entrambi.
Era da poco passata la mezzanotte del 2 maggio 2022 quando Romina De Cesare, 36 anni, rientrò per l’ultima volta nell’appartamento che condivideva con l’ex fidanzato. Una convivenza di fatto forzata, dovuta alla necessità di dividere le spese dopo la fine di una relazione sentimentale diventata ‘tossica’.
Romina, che lavorava come cameriera in un bar di Frosinone dopo essere rientrata da Parigi dove aveva lavorato in banca, aveva deciso di andarsene. Aveva conosciuto un altro ragazzo e non sopportava più i comportamenti di Pietro, che una notte l’aveva persino filmata con il cellulare, svegliandola. Quella del 2 maggio doveva essere la sua ultima sera in quell’appartamento del centro storico. Poi avrebbe fatto ritorno in Molise. Quella notte, invece, fu la notte più buia, quella che la strappò per sempre alla vita e all’abbraccio dei suoi cari.
L’omicidio si consumò in meno di 10 minuti, come ricostruito dalle telecamere della zona analizzate dalla squadra mobile di Frosinone. Ialongo aspettò il rientro di Romina. Alle 00.35 del 3 maggio, «in un impeto d’ira» – come scrivono i giudici d’appello pronunciatisi sulla vicenda sei mesi fa, la aggredì con estrema violenza colpendola con 14 coltellate.
La furia omicida fu seguita da gesti lucidi, calcolati: Pietro si recò in bagno per lavarsi le mani e pulire il coltello – il luminol rivelò tracce ematiche nel lavandino e sulla manopola -, un coltello che la stessa Romina gli aveva regalato.
I vicini di casa – degli studenti cinesi – riferirono di aver sentito «urla femminili verso le 00.35» seguite dal «rumore di passi per le scale e la chiusura del portone». Ialongo si allontanò in tutta fretta con l’auto dirigendosi verso Sabaudia, dove fu fermato l’indomani dai Carabinieri, in stato confusionale.
Il processo ha ricostruito un quadro di stalking e ossessione. Ialongo «non accettando la fine della relazione, assume sempre più un comportamento ossessivo e persecutorio» – hanno spiegato i giudici in appello lo scorso dicembre. Romina, in un video registrato pochi giorni prima, manifestava tutta la sua esasperazione, comunicando all’ex la decisione di voler andare via. La Corte d’assise d’appello di Roma sei mesi fa ha confermato la condanna a 24 anni, riconoscendo le aggravanti del rapporto di convivenza e dell’aver commesso il fatto nei confronti di una persona già vittima di atti persecutori. I giudici hanno escluso qualsiasi attenuante, riconoscendo in Ialongo «piena capacità di intendere e di volere» nonostante i problemi di salute conseguenti a un incidente stradale subito in gioventù. «L’imputato agisce, al momento del fatto, in modo lucido, consapevole e anche organizzato» – scrivevano i magistrati.
Difeso dall’avvocato Marilena Colagiacomo, Ialongo ha portato il caso fino alla Cassazione, chiedendo ai magistrati della Suprema Corte il rinnovo della perizia psichiatrica e l’insussistenza delle due aggravanti contestate al 40enne che sta scontando la pena nel carcere di Rebibbia: il rapporto di convivenza e gli atti persecutori commessi nei confronti della giovane donna.
L’udienza di ieri ha rappresentato l’ultimo atto di un processo che ha tenuto col fiato sospeso Frosinone e il piccolo paese molisano di origine dei protagonisti di questa tragedia. Per la parte civile c’era, come sempre – accanto all’avvocato Danilo Leva -, papà Mario che non ha mai mancato alcun appuntamento con la Giustizia, quella che si occupa della tragica fine della figlia che due giorni fa avrebbe compiuto 39 anni.
Il rigetto del ricorso chiude quini una vicenda – dal punto di vista giudiziario – che lascia ad ogni modo delle crepe insanabili. Nella vita dei familiari di Romina, stroncata dalla violenza di chi diceva di amarla. E in quella dei cari di Pietro, che dovrà scontare 24 anni di carcere per le conseguenze di un gesto che i giudici hanno definito lucido e spietato.

























