Presentato nell’aula magna diocesana in via Mazzini il libro “La reazione a Isernia nel 1860, fatti e misfatti” di Pasquale Damiani e don Giuliano Lilli, edito da Terzo Millennio di Giovanni e Tamagnino Pallotta, con la preziosa collaborazione di Fabrizio Minichetti.
Un evento di rilievo culturale con autorevoli interventi istituzionali. Hanno portato i loro saluti: monsignor Camillo Cibotti, vescovo di Isernia-Venafro e Trivento; monsignor Claudio Palumbo, vescovo di Termoli-Larino; il senatore Costanzo Della Porta; il senatore Claudio Lotito; Quintino Pallante, presidente del Consiglio regionale del Molise; Daniele Saia, presidente della Provincia di Isernia e Piero Castrataro, sindaco di Isernia. Relatore l‘architetto Franco Valente, storico e intellettuale molisano di grande spessore, mentre a moderare l’incontro è stato il giornalista Giovanni Avicolli.
Presenti in sala l’assessore regionale Michele Iorio, i consiglieri regionali Stefania Passarelli, Roberto Di Baggio e Fabio Cofelice, il sindaco di Castel di Sangro Angelo Caruso, i sindaci di alcuni comuni coinvolti nella reazione del 1860, il commissario alla Sanità Bonamico, il Capo di Gabinetto della Prefettura Ivan Cioffi, il Questore Davide Della Cioppa, il comandante provinciale dei carabinieri Fabrizio Coppolino, il comandante provinciale della guardia di finanza Massimiliano Bolognese, il già presidente del Tribunale di Isernia Enzo Di Giacomo e tanti cittadini che hanno riempito l’aula magna diocesana, una vera bomboniera nel cuore del centro storico di Isernia.
Nel corso dell’evento è stato rivolto un sentito ringraziamento ad alcuni imprenditori che hanno consentito con il loro contributo che il libro fosse distribuito gratuitamente alla cittadinanza di Isernia. Il ringraziamento per la sensibilità dimostrata a Marcello Miniscalco, Carmelo Melfi, Vincenzo Cotugno, Antonio ed Enzo Di Luozzo, Cosmo Tedeschi, Antonio Valerio, Massimo Sterpetti e Domenico Farrocco.
Un libro di oltre 500 pagine in cui gli autori hanno provato a fare chiarezza su quanto accaduto a Isernia e nel suo circondario tra il 30 settembre e il 20 ottobre 1860. La revisione storiografica di encomiabili studiosi e ricercatori sta facendo non solo riscrivere ma soprattutto diffondere le autentiche vicende risorgimentali dei territori che furono le province del Regno delle Due Sicilie.
Tanti luoghi comuni nei confronti di personaggi e accadimenti di quel periodo stanno prendendo nuova forma in modo sempre più fedele e convincente della realtà storica. Oggi si ammettono i tanti meriti dei vituperati Borbone, si riconoscono i danni patiti dalle Due Sicilie per l’unificazione e si giunge a considerare il brigantaggio una legittima difesa popolare dei propri diritti fortemente conculcati dai Savoia. Dopo anni di ricerche in archivi pubblici e privati, sui giornali dell’epoca, soprattutto nell’emeroteca privata di Gianni Lubrano una delle più fornite d’Italia, Pasquale Damiani e don Giuliano Lilli hanno analizzato e interpretato le cause che hanno portato l’Ufficialità gran piemontese a governare ovvero a tiranneggiare il Sud d’Italia. A quei tempi vi erano due Italie, una del Nord e una del Sud.
Nel 1860 si sono invertiti i ruoli: il Nord ha rubato tutto al Sud che fu invaso militarmente e colonizzato. Il Piemonte, indebitato fino all’osso del collo, mise le mani sul prospero Regno delle Due Sicilie massacrando la popolazione, depredando ogni bene e ricchezza. Il Piemonte annullò lo stato sociale che i Borbone avevano eletto a patrimonio morale.
Dopo anni di ricerche su libri, giornali e documenti “nascosti” viene fuori una storia diversa dei fatti accaduti a Isernia nel 1860, non quella che si impara a scuola dove si parla solo dei vincitori, quasi mai dei vinti. Alcuni documenti inediti, fin qui sconosciuti, mettono in luce alcuni aspetti di Stefano Jadopi, a dimostrazione di come fosse poco stimato dal popolo di Isernia. È stato il personaggio più divisivo della storia della città che a pochi giorni dalla reazione pensò bene, da sindaco, di abbandonare la città, recandosi a Napoli con i due figli più piccoli, temendo vendette nei propri confronti soprattutto dai suoi coloni che lo odiavano.
Jadopi era molto inviso dalla popolazione di Isernia, sia prima che dopo l’Unità d’Italia tanto che, dopo la sua elezione al primo parlamento piemontese, tornò nella città natale solo in due occasioni per il disbrigo di pratiche di vendita di terreni. Non è venuto neanche per seppellire sua moglie. Aveva troppa paura di ritorsioni nei suoi confronti. A seguito di quei fatti fu celebrato anche un processo che iniziò il 10 maggio 1862 e terminò il 25 agosto 1864.
Complessivamente si ebbero 25 assoluzioni e 50 condanne, quasi tutti contadini, molti dei quali condannati ai lavori forzati a vita mentre i principali bersagli di Stefano Jadopi – vale a dire suo suocero Gennaro De Lellis, i fratelli Melogli, Vincenzo Cimorelli, Giura e Cimone – furono assolti. Le vicende giudiziarie continuarono invece tra Jadopi e i figli di Gennaro De Lellis che secondo i legali del liberale iserniano dovevano risarcire i danni provocati in questi 20 giorni compreso l’incendio del palazzo. Sfidò in giudizio i fratelli di sua moglie Vincenzo e Alessandro de Lellis affinché da eredi legittimi del loro genitore rispondessero dei gravi danni subiti dallo stesso, poiché secondo la tesi portata avanti dai legali di Jadopi, suo suocero si era reso responsabile di essere a capo della reazione e anima informante dei disordini scoppiati in città e dei danni gravissimi che ne derivarono con l’incendio del palazzo. Ma Jadopi non ottenne alcun risarcimento dato che i fratelli De Lellis furono difesi dagli avvocati Ottavio Cecaro, Francesco De Simone e Giuseppe Castrone che nel corso delle loro arringhe difensive si appellarono alla imparzialità e indipendenza dei giudici affinché la causa dei loro difesi potesse godere di tutte le garanzie della legge e della giustizia.
Gli avvocati portarono avanti una tesi difensiva esemplare che fu discussa a lungo nelle sedi opportune ed ebbe anche una vasta risonanza nazionale tanto che fu anche stampata. Una copia è stata fornita dall’avvocato Mario Petrecca e dai figli Gennaro e Roberto. Senza ire di parte è stata pubblicata nella terza parte del libro. Si tratta di un fatto giuridico che rende maggiore chiarezza su quanto accaduto in quei giorni a Isernia.
I fatti e i misfatti del 1860 fanno capire la fierezza del popolo di Isernia, al di là di episodi violenti accaduti che vanno stigmatizzati, ma la stragrande maggioranza del popolo ha fatto capire da che parte stava. È la storia di una città e dei suoi abitanti che sempre si sono battuti con coraggio contro l’omologazione, contro l’ignoranza barbara, la superbia di chi ha cercato con la violenza e il potere di piegare, sotto la propria volontà, il Regno borbonico e le sue ben note espressioni culturali.
Adottando un metodo di indagine pacato ed equilibrato, gli autori hanno mostrato l’altra faccia della medaglia, di quanto accaduto a Isernia e nel suo circondario sfatando alcuni miti con un serio tentativo di rileggere il passato nel senso di verificare e nel caso correggere ed aggiornare le ricostruzioni fatte finora. Un serio approfondimento è stato fatto sul vescovo monsignor Gennaro Saladino, descritto da qualcuno come il capo della rivolta di Isernia. Monsignor Saladino era invece molto amato dal popolo. Arrivò nell’anno del colera nel 1837 e si adoperò subito per rimettere in piedi la cattedrale seriamente danneggiata dal terremoto del 1805. Il sacro tempio fu interamente restaurato e riaperto a culto nel 1852. Monsignor Saladino fu l’artefice della reintegrazione della Diocesi di Venafro per la quale chiese ed ottenne l’alto interessamento della Corte di Napoli. La bolla di reintegrazione fu emanata il 18 giugno 1852. Le due diocesi di Isernia e Venafro erano “aeque principaliter” unite. L’anziano presule fu costretto a lasciare Isernia dopo l’arrivo dei Piemontesi e a rifugiarsi a Roma dove morì il 29 aprile 1861, calunniato da alcuni per la reazione di Isernia della quale era del tutto innocente.
Sui libri di storia non si è mai letto di cannoni contro città indifese, fuoco appiccato alle case, uccisione di giovani, anziani e bambini, ruberie nelle case e nelle chiese. Sui libri di scuola non si è mai letto della fucilazione di massa divenuta opera quotidiana da parte dei Piemontesi che tra il 1861 e il 1871 uccisero un numero impressionante di contadini. Nessuno doveva sapere. Ad esempio, c’è chi aveva scritto a quei tempi che le truppe piemontesi erano state accolte con grande entusiasmo popolare dalle popolazioni abruzzese e molisana. La realtà era ben diversa: sia gli abruzzesi che i molisani accolsero i piemontesi a fucilate. Ma tutto il Sud insorse contro gli invasori pagando un prezzo altissimo in morti. I contadini volevano difendere fino alla morte il Regno delle due Sicilie, i liberali invece volevano i Savoia che garantivano loro potere, denaro e quant’altro. E ciò accadde anche a Isernia.
La presentazione del libro “La reazione a Isernia nel 1860” ha rappresentato un’occasione preziosa per tutti gli appassionati di storia, cultura e memoria collettiva. In un periodo in cui la storia del Mezzogiorno d’Italia è spesso oggetto di revisionismi e semplificazioni, l’opera di Damiani e Lilli restituisce dignità a una narrazione complessa, ricca di sfumature, spesso ignorata dalla storiografia ufficiale.

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