Scegliere quale paio di scarpe si addice al proprio fisico o al proprio gusto senza entrare in un negozio e provarle. Decidere di cambiare l’arredamento della propria casa senza rischi di errori clamorosi, provando l’effetto design senza scomodare parenti e amici a spostare mobili da una parte all’altra. Il metaverso e la sua magia, verrebbe da dire. Per i boomers e quelli della Gen X un altro pianeta, spesse volte incomprensibile. Anzi, motivo di irritazione per quei figli e nipoti perennemente con il capo chino su uno smartphone. Per loro, la Gen Z, i millenials , gli zoomers, la quotidianità. Applicabile in ogni attimo, dallo studio al divertimento. (Piccolo inciso, o meglio ‘legenda’ per i lettori: i boomers sono le persone che hanno dai 55 ai 75 anni, quelle della Gen X sono nate fra il 1965 e il 1980, La Generazione Z è quella dei nativi digitali)
Per Fabio Forgione è il lavoro. Sognato, rincorso, afferrato. Quello per il quale ha faticato e non poco.
Unico italiano scelto da Meta (ex Facebook) come official partner per la creazione dei filtri. Che con le sigarette (e lo dico ai boomers) non c’entrano nulla: sono quegli effetti speciali che vengono quotidianamente utilizzati da milioni di persone per i contenuti social. Per avere i capelli azzurri, un piercing, uno sguardo ammaliante, il viso levigato e un make up impossibile da realizzare da sole davanti allo specchio (tanto per dire quelli più basici) in istantanee che durano il tempo di una stories (su Insta, ovvio).
Fabio – noto ai più come Piotar Boa – ha 50 anni, non esattamente (ma solo per questioni anagrafiche) un esponente della Gen Z. Ma è il loro guru, l’uomo al quale si guarda con ammirazione, la persona che fa esattamente quello che moltissimi millennials vorrebbe fare da grande.
Il creator, l’esperto della realtà aumentata. Quella che ti fa provare un paio di scarpe stando a casa, senza entrare in un negozio ma solo applicando un determinato filtro che ti permette di capire se quelle scarpe, di quel colore e di quella fattura, ti piacciono e ti stanno bene.
Una magia. Ieri sulle colonne de «Il Messaggero», in questi anni su riviste più ‘di nicchia’. Un nome, il suo, che rappresenta quel futuro che non è più da trama da film di fantascienza.
Ma chi è Fabio Forgione e come è diventato Piotar Boa?
«Sono abruzzese, originario di Cupello un paese di circa 5000 abitanti vicino Vasto e vivo ad Isernia dal 1998. Mi occupo di realtà aumentata, virtuale, NFT e blockchain: tutte le nuove tecnologie che in pratica sono usate ogni giorno da miliardi di persone in tutto il mondo e che presto ritroveremo tutte insieme nel famoso “metaverso”. Il nick name Piotar Boa appare per la prima volta sul web nel 2015, quando decisi di creare un progetto per aiutare e dare visibilità sui social ad artisti che non avevano i mezzi e le possibilità. Insieme ad altri volontari abbiamo aiutato quasi 100 artisti provenienti da ogni parte del mondo. Molti sono diventati famosi ed hanno potuto coronare il loro sogni, altri purtroppo no. Grazie a questa esperienza ho potuto conoscere persone da tutto il mondo ed ho avuto l’opportunità di imparare cosa fosse il digital marketing e come usarlo al meglio sia per me che per i miei futuri clienti».
Come è arrivato ad essere l’eletto, individuato da Meta. Quale il percorso di Fabio Forgione, da Isernia al metaverso?
«Nel 2017 un mio amico negli USA mi disse: “Guarda che Facebook (oggi Meta) deve testare e lanciare la sua piattaforma di realtà aumentata e sta cercando persone come te, compila questo questionario”. Io gli risposi che era inutile, che non sarei mai stato scelto perché non avevo nessuna laurea in informatica o ingegneria inerente alla candidatura. Ero autodidatta, me la cavavo sì, questo è vero, ma purtroppo il famoso “pezzo di carta” non ce l’avevo. Lui mi rassicurò: “Non ti preoccupare, loro guardano solo le risposte. I pezzi di carta contano ma fino ad un certo punto”. Così risposi al questionario e ad agosto 2017 venni accettato ed inserito in un gruppo segreto su Facebook. Eravamo circa 500-600 persone tra ingegneri, sviluppatori, managers da tutto il mondo, e con mio stupore vidi che ero l’unico italiano. Lavorammo tutti insieme, in gran segreto e a bocche cucite, testando il nuovo software, creando filtri, risolvendo bugs, fino a dicembre 2017 quando la piattaforma venne rilasciata al pubblico. Fui nominato Top Contributors insieme ad altre 24 creators e da lì in poi ho avuto una “certa considerazione” da parte loro e mi hanno invitato ad ogni evento internazionale e non».
Ha davanti una platea di soli boomers o Gen X. Deve spiegare in cosa consiste il suo lavoro. Ci proviamo?
«Il mio compito è quello di creare delle esperienze interattive ed immersive che le persone possono usare sui loro social preferiti. Lo faccio attraverso dei softwares come Meta Spark AR Studio (per Instagram e Facebook) o Lens Studio per Snapchat. Attraverso queste esperienze spesso promosse da aziende e marchi importanti, gli utenti si sentono parte attiva della comunicazione ed interagiscono in un modo tutto nuovo e più coinvolgente. I primi filtri che tutti sicuramente conoscono sono quelli make up o bellezza, ma esistono tanti altri dove puoi provare diversi modelli di paia di scarpe, occhiali da sole o vestiti. Indossarli virtualmente e provarli prima di acquistarli in negozio o sul tuo e-commerce preferito online. In questo modo si rafforza la relazione tra utente e brand, ne accresce la fiducia ed ovviamente aumentano anche le vendite: alla fine vincono tutti. É questo il bello».
Figli e nipoti perennemente connessi, ormai collegati con il mondo e affascinati da questa dimensione che può diventare una professione. E che moltissimi vorrebbero che lo diventasse. Lei ne è la prova. Quali consigli si sentirebbe di offrire?
«Il consiglio ovviamente è quello di provarci. Non mollare mai. Poi oggi ci sono moltissime richieste per chi vuole lavorare nel campo della realtà aumentata e si guadagna anche molto di più rispetto ad altre professioni più blasonate o classiche. I software sono gratuiti, ci sono molti tutorial ed i siti ufficiali sono pieni di informazioni. Chiunque può creare il suo primo filtro in meno di 10 minuti. E questo grazie al lavoro fatto da molti di noi AR Creators in questi ultimi anni».
Come ci si sente ad aver afferrato il sogno, che non è affatto virtuale. Quanto è stata dura?
«È stato veramente difficile. Io partivo da zero e tutti i miei colleghi facevano questo lavoro da almeno 10 anni…»
Dove vive oggi Piotar Boa? E poi, scusi, perché questo nik name, si dice così giusto?
«Vivo ad Isernia con mia moglie Doriana e miei figli Luca e Sara. Il nick name Piotar in onore dello zar Pietro Il Grande, fondatore della meravigliosa città di San Pietroburgo dove ho vissuto per circa un mese quando ero ragazzo per imparare il russo, Boa invece lo vidi per caso durante una ricerca su Google, suonava bene e lo aggiunsi. Può significare “buono” in portoghese, “boa” il serpente oppure la “boa nel mare… scegliete voi».
lucia sammartino

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