Nell’occhio del ciclone ci è finita l’ASReM. Di nuovo. Stavolta per le prestazioni aggiuntive liquidate ai medici della Radiodiagnostica dell’ospedale Veneziale nei primi tre mesi dell’anno. Oltre 360 ore in un solo mese per un singolo professionista, 12 ore al giorno senza pause. In totale, più di 105mila euro per garantire il servizio. Una cifra che ha fatto gridare allo scandalo, alimentando insinuazioni e richieste di commissariamento.
Ma davvero ha senso puntare il dito contro chi – tra mille difficoltà – cerca di mantenere in piedi i reparti e tenere aperti gli ospedali molisani?
Perché è questo, in fondo, il punto: in un sistema commissariato da anni, in cui le decisioni arrivano da Roma e dove il piano di rientro impone tagli, risparmi, razionalizzazioni, l’azienda sanitaria regionale si ritrova con un paradosso quotidiano da gestire. Da una parte, lo Stato impone di contenere la spesa. Dall’altra, la politica locale e il sentire comune chiedono di non chiudere nessun presidio, di non accorpare reparti, di garantire tutto a tutti. Agnone, Isernia, Termoli: ognuno ha il suo ospedale da difendere, il proprio “campanile sanitario” a cui non è disposto a rinunciare.
Eppure, per tenere aperta una struttura ospedaliera servono risorse. Non solo economiche, ma soprattutto umane. Medici, infermieri, tecnici, personale amministrativo. E il Molise, per numero di abitanti, avrebbe bisogno – per logica (e secondo le norme in vigore) – di un solo ospedale. Ma per orografia, viabilità e isolamento, ne servono almeno tre o quattro. Con buona pace della matematica e dei vincoli di bilancio.
E allora? Allora si fa quello che si può. Si cercano specialisti con bandi che spesso vanno deserti, si offrono contratti a tempo che non reggono il confronto con quelli di altre regioni o del privato, si spera che qualcuno accetti e, nel frattempo, si chiede ai pochi medici in servizio di coprire i turni scoperti con le prestazioni aggiuntive. Non si tratta di un sistema ideale, né sostenibile nel lungo periodo. Ma è l’unico modo – oggi – per non spegnere del tutto la sanità pubblica molisana.
E le cifre? Le tariffe delle prestazioni aggiuntive non le ha decise il direttore amministrativo, né il commissario. Sono stabilite a livello nazionale. Chi lavora in regime di aggiuntive ha diritto a essere retribuito, e anche bene: parliamo di medici che spesso rinunciano al tempo libero, alla vita privata, che affrontano turni massacranti per garantire un servizio pubblico essenziale. Un sacrificio, più che una strategia.
Demonizzare le prestazioni aggiuntive significa ignorare il contesto. Significa non capire che senza il servizio di Radiodiagnostica, i reparti chiuderebbero. Il pronto soccorso si paralizzerebbe. Gli interventi si sospenderebbero. E i pazienti, quelli veri, non quelli delle polemiche, resterebbero senza cure.
Il Veneziale – come il San Timoteo, il Caracciolo, il Cardarelli – sopravvive grazie a chi, ogni giorno, tiene insieme i pezzi. È un equilibrio fragile, ma necessario. L’ASReM non ha colpe. Ha solo responsabilità. E l’unica colpa che le si può imputare è quella di provare a resistere, di voler tenere aperti gli ospedali a ogni costo. Anche quando il sistema, più grande e più forte, sembra volerli chiudere.
Per questo, piuttosto che scandalizzarsi per un compenso, dovremmo ringraziare chi lavora oltre il proprio dovere. E chiedere – alla politica, ai ministeri, ai decisori – di creare le condizioni perché il Molise possa avere una sanità degna, sostenibile, accessibile. Perché continuare a tappare i buchi non è una strategia. È solo la prova disperata che questa terra, almeno per qualcuno, merita ancora di essere curata.
Lu.Co.

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