Un Natale di prossimità e responsabilità. Il vescovo Palumbo e la sfida di una Chiesa che ascolta il territorio È il primo Natale da vescovo di Termoli-Larino per monsignor Claudio Palumbo, insediatosi ufficialmente il 22 febbraio scorso. Dieci mesi intensi, attraversati dal contatto diretto con un territorio complesso, segnato da fragilità strutturali ma anche da una vitalità umana ed ecclesiale che, come lui stesso sottolinea, rappresenta oggi uno dei punti di forza della diocesi. «Ho scoperto una bella realtà, molto viva, affezionata al Signore, coesa e partecipe», racconta. Un’impressione maturata non da lontano, ma vivendo i paesi, incontrando i fedeli, ascoltando i sacerdoti, osservando da vicino quella trama di relazioni che tiene insieme comunità spesso colpite dallo spopolamento, dalla carenza di servizi e dalla mancanza di opportunità lavorative. In molti centri del basso Molise, la parrocchia continua a rappresentare uno degli ultimi presìdi sociali. Palumbo richiama l’immagine di San Giovanni XXIII, che definiva la parrocchia «la fontana del villaggio», luogo dove tutti possono attingere. Non solo uno spazio religioso, ma una vera “famiglia di famiglie”, capace di contrastare il rischio di spersonalizzazione che accompagna l’esodo demografico. In questo senso, la Chiesa mantiene una funzione capillare, silenziosa ma determinante, soprattutto laddove le istituzioni faticano ad arrivare. Accanto alla crisi demografica, emerge con forza un’altra emergenza: quella educativa. Il vescovo parla apertamente di una crisi di valori che interpella l’intera società. «Serve recuperare un patto tra famiglia, scuola e parrocchia», afferma, richiamando un’esperienza condivisa da intere generazioni, cresciute in un contesto in cui il linguaggio valoriale era coerente e trasversale. Onestà, sacrificio, dedizione, prossimità: parole che non erano concetti astratti, ma pratiche quotidiane, incarnate nei rapporti di vicinato, nel mutuo soccorso, nella fiducia reciproca. Oggi quel tessuto appare logorato. Episodi di violenza che coinvolgono anche giovani, modelli distorti veicolati dai social e da alcuni format mediatici, una ricerca dell’identità che passa attraverso comportamenti estremi. «Per sentirsi uomini ci vuole ben altro», osserva Palumbo, mettendo in guardia contro una cultura che confonde la forza con la sopraffazione. Il problema, avverte, non è riducibile al singolo caso, ma riguarda un sistema globale che produce e legittima certi modelli. Da qui l’urgenza di riaprire gli occhi e lavorare, senza rassegnazione, per offrire motivazioni esistenziali autentiche alle nuove generazioni. Ascolto, accompagnamento, presenza condivisa: nessuna scorciatoia, ma un impegno corale. Il tempo natalizio, in questo quadro, diventa uno specchio impietoso delle contraddizioni contemporanee. Le polemiche legate alla rimozione dei riferimenti cristiani dal Natale – dai canti alla simbologia – non sono per il vescovo episodi isolati, ma segnali di una crisi più profonda. Richiamando il passo dell’Apocalisse in cui Cristo bussa alla porta del cuore dell’uomo, Palumbo parla di libertà: una libertà che, se non è orientata al bene, rischia di trasformarsi in “liberticidio”. La chiusura verso il messaggio cristiano, sottolinea, non è segno di emancipazione, ma spesso di impoverimento spirituale. Il discorso si allarga inevitabilmente all’Europa e alle sue radici. L’omissione del riferimento al cristianesimo nella costruzione dell’identità europea è, per Palumbo, frutto di un laicismo malinteso, che nulla ha a che vedere con la laicità autentica. Quest’ultima, spiega, dovrebbe garantire a tutte le dimensioni dell’umano – compresa quella religiosa – lo spazio per esprimersi. Negare il contributo del cristianesimo alla civiltà europea significa ignorare un’evidenza storica: dall’arte alla musica, dalla letteratura alle istituzioni, il messaggio evangelico ha prodotto cultura e progresso. Non per imposizione, ma per generazione. In questo contesto storico si inserisce anche il passaggio epocale vissuto dalla Chiesa universale nel 2025, con la morte di Papa Francesco in pieno Giubileo della misericordia e l’elezione di Papa Leone XIV. Palumbo parla di una fase di rilettura dell’eredità di Francesco, una rilettura necessaria e benefica, che aiuta a comprendere la profondità di un pontificato fortemente orientato alla missione, all’annuncio, a una Chiesa “in uscita”. Il nuovo Pontefice, osserva, si muove in continuità, portando con sé una ricchezza di esperienze che vanno dalla cultura statunitense alla spiritualità agostiniana, fino alla missione in America Latina. Una Chiesa missionaria è chiamata a esserlo anche nel basso Molise, territorio attraversato da tensioni sociali ed economiche. Il vescovo cita esplicitamente la crisi dello stabilimento Stellantis e le difficoltà legate ai servizi pubblici. In questo scenario, la diocesi non pretende di sostituirsi alle istituzioni, ma sceglie una postura di mediazione e prossimità: da un lato, incoraggiamento e sostegno agli amministratori, consapevoli dei vincoli e delle pressioni globali; dall’altro, ascolto e accompagnamento delle persone, soprattutto di quelle più fragili. Il lavoro della Caritas e dell’intero comparto dedicato alla promozione dello sviluppo umano integrale rappresenta, in questo senso, un pilastro. Dall’ascolto all’accoglienza, dalla farmacia solidale al poliambulatorio, fino ai progetti per le persone con disabilità, la diocesi cerca di rispondere concretamente ai bisogni, pur nella consapevolezza dei limiti imposti dalle risorse disponibili. Tra le iniziative più significative, il Villaggio Laudato si’, pensato anche per affrontare il tema delicatissimo del “dopo di noi”, offrendo una prospettiva di serenità a famiglie che vivono con angoscia il futuro dei propri figli disabili. Lo sguardo del vescovo si allarga infine al contesto internazionale. Quello del 2025 è il quarto Natale segnato dai conflitti armati, dall’economia di guerra, dal riemergere dell’ipotesi di leva obbligatoria in alcuni Paesi. «C’è qualcosa che non torna», afferma Palumbo, individuando nel cuore dell’uomo il vero campo di battaglia. Richiama gli incessanti appelli di Papa Francesco per la pace, gli sforzi della diplomazia vaticana, le missioni umanitarie della CEI. Ma senza un cambiamento interiore, avverte, i trattati restano vuoti. La pace non nasce dagli accordi, ma da cuori disarmati. Il Natale, in questa prospettiva, è il tempo più alto e più scandaloso: un Dio che si fa uomo per restituire dignità all’uomo. Uno scandalo per chi rifiuta l’idea di un Dio che entra nella storia, ma anche una consolazione profonda per chi riconosce una presenza che accompagna, anche nei momenti più bui. Palumbo cita l’immagine poetica delle impronte sulla sabbia: quando ne vediamo solo due, è perché Dio ci sta portando in braccio. Il messaggio finale del vescovo ai cittadini del territorio è semplice e insieme impegnativo: non scoraggiarsi, scegliere il bene, camminare nella speranza. Una speranza che non è evasione, ma decisione quotidiana, vissuta insieme a Cristo che condivide la condizione umana per redimerla. È questo, conclude Palumbo, il senso più autentico del Natale: una chiamata alla responsabilità, personale e collettiva, per ricostruire legami, fiducia e futuro.
Emanuele Bracone


























