C’è qualcosa di antico, anzi di nuovo che rende unico e caratterizzante il presepe allestito nella Chiesa del Santissimo Salvatore del piccolo comune alle porte del Capoluogo e, non ce ne voglia Pascoli, se, per provare a raccontarlo a quanti non hanno avuto modo di poterlo ammirare, ci prendiamo l’azzardo di mutuare i versi de “L’Aquilone”.
Domenica pomeriggio nel giorno della Candelora la comunità tutta si è ritrovata in chiesa per celebrare in modo solenne la festa della luce che ricorda la presentazione di Gesù al Tempio, avvenimento che il mondo cattolico festeggia quaranta giorni dopo il Natale attraverso il rito della benedizione delle candele ricordando che la venuta di Cristo sulla terra è luce che illumina l’umanità.
In questa data, il 2 febbraio, è consuetudine, in molte case oltre che nelle chiese di smontare il presepe preparandosi alla Pasqua.
Don Nico, il Parroco, avvalendosi della partecipazione delle persone anziane della comunità, ha dato vita ad un presepe già di per se attraente, addirittura commovente, per la versatilità con cui esprime un insolito significato intrinseco recante la spinta e l’auspicio di una possibile Pace Universale; quella serenità alla quale noi tutti aspiriamo e di cui abbiamo bisogno. Dire che il presepe è stato realizzato attraverso straordinari lavori all’uncinetto è riduttivo, è rappresentarlo in modo banale, che non rende il dovuto merito al risultato ottenuto già dal punto di vista solo scenografico. Si rimane incantati, si ritorna fanciulli ritrovando la capacità di stupirsi dinanzi alla rappresentazione di un paesaggio, di personaggi che lo animano, cui viene conferita veridicità grazie all’abilità di un lavoro muliebre tramandato nelle famiglie di generazione in generazione. Oltre agli abiti che indossano Maria, Giuseppe, Gesù Bambino, ci sono quelli dei Magi venuti dall’Oriente, quelli delle contadine e dei pastori, i finimenti degli animali, la paglia della greppia e della mangiatoia, le pecore, gli agnellini da latte, i vitelli e i montoni, finanche, le foglioline appena nate dall’albero di quercia, tutto fatto all’uncinetto come gli angeli e le stelle e, l’erba e i fiori. Sì i fiori! Perché il presepe di Cercepiccola non si colloca in un paesaggio invernale ma si apre alla primavera come segno di rinascita, di speranza di nuova vita dopo il gelo e le giornate buie dell’inverno, opprimenti come lo sgomento e le incertezze che, da tempo, attanagliano tutti noi.
Il Parroco ha fatto un buon lavoro di coesione sociale. Ha restituito un ruolo alle persone anziane che per giorni, settimane, mesi, lavorando fili di lana colorata hanno sperimentato intrecci, abbinato colori, inventato forme e punti coinvolgendo nella creatività anche le donne più giovani.
Un parroco, don Nico, non molisano, proveniente dalla Puglia, dotato di sguardo lungo sensibile nella capacità di tener da conto il valore storico di questo piccolo paese abitato da poco più di 600 anime come anche quello della Chiesa Madre al cui interno, e non solo, si incontra con la sua comunità. La chiesa – con poco più accanto una torre campanaria di stile romanico – esprime tracce del proprio passato non solo nella severa architettura delle sue due lunghe navate alte e solenni lungo le quali altari devozionali testimoniano il culto dei Santi ma anche una maestria artigianale espressa con abilità e sensibilità devozionale. Qui è possibile ammirare, tra gli altri lavori la statua della Madonna della Concezione una delle tante sculture di Paolo Saverio Di Zinno e, uno straordinario dipinto rappresentante la Trasfigurazione di Cristo, opera di Mattia Preti pittore del ‘600.
Chissà come questo quadro sia arrivato fin qui giacché Mattia Preti detto “il calabrese” nato in Sila, a Taverna, in provincia di Catanzaro il 25 febbraio del 1613 e morto quasi centenario a Malta a La Valletta nel 1699, è stato uno dei maggiori esponenti del periodo più intenso del barocco italiano e, un esponente di prestigio della corrente del caravaggismo napoletano tanto che le sue opere somigliano per luce e intensità espressiva a quelli del Caravaggio ed arricchiscono i maggiori musei europei da Roma a Parigi.
Cercepiccola negli scritti che ripercorrono la storia della sua nascita e l’origine del nome è detta anche: “Città – luogo – dell’accoglienza” e a ricordare il dovere di accogliere è la figura di Monsignor Armando Lombardi che il questo borgo nacque il 12 maggio del 1915. Monsignor Lombardi, l’arcivescovo Lombardi, è stato Nunzio Apostolico prima in Venezuela poi in Brasile dove, negli anni ‘50 svolse attività diplomatica e pastorale per conto del Papa Pio XII adoperandosi generosamente nell’assistenza agli emigranti non solo quelli italiani. Nel 1952 fu insignito della gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Di Lui dalle nostre parti quasi nessuno si ricorda ma in Brasile gli sono state dedicate strade e piazze. Le sue sacre spoglie riposano nella chiesa del Santissimo Salvatore e la sua figura e l’impegno profuso a favore dei poveri ricorda al Molise e all’Italia intera mai così dilaniata da odi e recriminazioni che c’è stato un tempo in cui anche noi siamo stati emigranti.

Vittoria Todisco

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